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martedì 26 gennaio 2010
Non posso che confessare, non solo a posteriori, la seria titubanza nell'aver accettato, proprio un anno fa, la difesa di una lavoratrice la quale, assunta presso una società di medie dimensioni, con un contratto a tempo determinato per ragioni di sostituzione di altra lavoratrice avente diritto alla conservazione del posto era stata, al rientro della lavoratrice, rimandata a casa con la classica quanto penosa letterina di parte datoriale del seguente tenore: "Tante grazie, non abbiamo più bisogno di lei. Il nostro rapporto è da intendersi cessato".
La remora, non consisteva tanto, ovviamente, nell'oggetto del contendere, ma nella grave difficoltà di dare una risposta alla cliente alla classica quanto fatidica domanda "Avvocato, che speranze ho di ritornare a lavorare?".
Non è un mistero che il tempo che viviamo è costellato da una miriade di incertezze che, soprattutto negli ultimi anni, hanno avuto una crescita esponenziale in tutti i campi, non lasciando indenne il mondo del diritto.
Ricordo, in virtù di un'esperienza ultradecennale nel campo del diritto, che fino a qualche anno addietro riuscivo a soddisfare la fatidica domanda del cliente in merito all'eventuale esito giudiziale e se esso, alla luce dei fatti e della giurisprudenza, si palesasse positivo o negativo.
Oggi non è più così e chi vive quotidianamente i Tribunali lo sa bene. Spesso casi analoghi vengono risolti in materia diametralmente opposta a seconda di chi si assume la paternità di decidere. Intendiamoci, non è uno sfogo dei confronti dei giudici, ma semplicemente la stigmatizzazione di un dato di fatto: essendo meno univoca la giurisprudenza di cassazione ed essendo le leggi sempre più di difficile interpretazione il risultato non può che essere quello di creare un marasma di sentenze contraddittorie che dipendono molto, moltissimo, fin troppo, dalla sola opinione del Giudicante.
Emblema di tale situazione è l'interpretazione data dai Giudici del Lavoro sparsi in tutta Italia sulla annosa questione dei contratti di lavoro a tempo determinato in ragione di sostituzione di lavoratori aventi il diritto alla conservazione del posto.
La norma ormai abrogata dal Decreto legislativo 368/2001, contenuta nella legge 230/1962 prevedeva espressamente l'obbligo scritto di parte datoriale di indicare nel contratto di lavoro con il "precario" il nome del lavoratore da sostituire, le ragioni della sostituzione e, infine, la data finale del rapporto a termine.
Sta di fatto che, il legislatore, con la legge del 2001, ha compiuto una scelta alquanto discutibile subito, neanche a dirlo, sfruttata nel modo più bieco da alcune parti datoriali, di indicare sì l'esigenza della sostituzione, escludendo però dal testo della norma contenuta nell'art. 1 l'obbligo precipuo di specificare dettagliatamente la ragione, il nome del lavoratore sostituito, e il termine. Pertanto, i nuovi contratti susseguitesi a far data dal 2001, contenevano espressamente l'assunzione del precario limitandosi ad indicare molto vanamente che l'assunzione a termine era determinata da ragioni sostitutive di personale avente diritto alla conservazione del posto e che il rapporto sarebbe cessato al rientro del lavoratore sostituito e questo era proprio il caso rappresentatomi dalla mia cliente nel febbraio scorso e che, pur non confortata dalla mia risposta sull'esito incerto del giudizio, ha comunque deciso di proporre ricorso al Giudice del Lavoro.
Orbene, fino al mese di luglio del 2009, moltissimi tribunali ritenevano la portata del Decreto legislativo del 2001 meno restrittiva dell'abrogata legge 230/1962 respingendo le istanze dei lavoratori che impugnando il contratto a termine si dolevano della mancata indicazione degli elementi sopra descritti richiedendo quale conseguenza del mancato rispetto della norma l'assunzione a tempo indeterminato.
La Corte Costituzionale con ordinanza del luglio del 2009, pur rigettando la questione di legittimità costituzione sollevata da moltissimi tribunali in ordine proprio all'art. 1 del D. lgs. 368/2001 alla sua formulazione e alla scarsa tutela che riservava ai lavoratori, ha finalmente posto un paletto chiarificatore sostenendo, in soldoni, che in ordine alla necessità specifica dell'indicazione del lavoratore da sostituire, alla ragione e al termine, nulla era innovato rispetto alla vecchia disciplina contenuta nella legge 230/1962.
Sempre la Corte costituzionale, con altra ordinanza del 04/12/2009 ha ribadito le considerazioni sopra riportate dando finalmente un chiarimento certo all'indirizzo che i giudicanti devono seguire: tutti i contratti di sostituzione sprovvisti del nome del lavoratore che ha diritto alla conservazione del posto, della ragione specifica della sostituzione e del termine di fine del rapporto sono comunque nulli nella parte in cui indicano un termine finale e il contratto deve necessariamente essere convertito a tempo indeterminato, a nulla valendo un controllo a posteriori da parte del Giudice nel controllare se l'esigenza rappresentata in giudizio dal datore di lavoro abbia o meno effettivo riscontro.
Recente esempio di questa applicazione è la sentenza del Tribunale di Marsala del 15/01/2010 ancora in corso di pubblicazione, con la quale la mia cliente ha avuto ragione della sua domanda giudiziale, ottenendo l'obbligo di essere riassunta, tutte le retribuzioni dalla data di messa in mora e l'assunzione a tempo indeterminato per la nullità del termine apposto nel contratto di lavoro.
Una grande vittoria ma, soprattutto, l'applicazione pratica di una tutela del diritto dei lavoratori disapplicata per troppo tempo in virtù di una pessima interpretazione della norma.
Avv. Giuseppe Lentini - Retelegale Agrigento
Avv. Giuseppe Lentini - Retelegale Agrigento
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