Lettori fissi

RETELEGALE FIRENZE

venerdì 15 gennaio 2010
Qualche mese fa ho avuto modo di leggere una sentenza che mi è rimasta in testa e che, nel tempo, mi ha portato a sviluppare alcune considerazioni su di un argomento assai delicato -rapporti tra coniugi separati allorchè gli stessi abbiano comunque in comune figli minori- che intendo condividere.
Si tratta della sentenza n°27995 pronunciata dalla Corte di Cassazione l'8 luglio 2009 in cui si sancisce la penale responsabilità del genitore il quale, nominato affidatario del minore, si oppone al mantenimento dei rapporti di quest'ultimo con l'altro genitore.
Per quanto la decisione in oggetto sia senza dubbio apprezzabile, mi chiedo tuttavia se la stessa possa costituire il massimo della tutela giurisdizionale accordata ai minori o se, diversamente, si potrebbe e si dovrebbe fare di più.
Mi spiego meglio.
Se da un lato la Suprema Corte ha riconosciuto l'essenzialità della figura materna e paterna per il corretto sviluppo psico-fisico del minore, dall'altro, la penale responsabilità del genitore affidatario è stata dichiarata in relazione alla figura di reato di cui all'art. 388 c.p. ossia, per la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del Giudice.
In buona sostanza quindi, a fronte della lesione di un diritto estremamente importante del minore quale quello a vedersi garantito un corretto sviluppo della personalità grazie all'intervento di entrambi i genitori, il genitore affidatario è stato condannato unicamente per non aver ottemperato ad una disposizione impartita dall'Autorità Giudiziaria.
Se questo è il quadro dei fatti ritengo che il tutto sia assolutamente insufficiente a fornire efficace ed effettiva tutela dei diritti dei minori.
Come si può reagire alla lesione di un diritto della persona ricorrendo ad una norma inserita nell'ambito dei delitti contro l'amministrazione della giustizia e che, per di più, prevede la pena alternativa della reclusione fino a tre anni (e quindi si va da un minimo di quindici giorni a tre anni) o della multa da 103,00 a 1.032,00 euro? Quale può essere la portata specialpreventiva di una norma del genere a fronte della indubbia ostinazione palesata da coniugi il cui unico interesse è quello di ferire ad ogni costo il proprio ex partner ricorrendo alla strumentalizzazione dei minori senza alcuno scrupolo?
Può dirsi sufficiente la tutela dei minori accordata in sede civile dall'Art. 709 ter c.p.p.?
A questo punto, considerato che l'istituto della separazione compirà proprio quest'anno i suoi primi quarant'anni e che ormai si può affermare con sufficente certezza l'assoluta incidenza dello stesso al mutamento radicale della società in genere e della famiglia in particolare, ritengo che, se si vuole fornire piena ed effettiva tutela dei diritti dei figli minori di genitori separati è necessario procedere ad una riforma che, per quanto difficile e delicata, possa giungere all'introduzione di una specifica figura di reato di pericolo il cui bene giuridico tutelato sia costituito al contempo dal corretto sviluppo della personalità del minore e dalla tutela della figura genitoriale e la cui sanzione sia fissata in limiti edittali capaci di far riflettere anche i genitori più riottosi.
Non che quanto sto prospettando sia semplice ma, certamente, è a mio avviso necessario.
D'altronde, se si considera che solo tredici anni orsono il legislatore è riuscito a “trasferire” gli abusi sessuali dalla sfera dei reati contro la morale nell'alveo dei reati contro la persona, mi chiedo quanto tempo ancora sarà necessario per maturare la consapevolezza di dover intervenire con la massima efficacia su di un aspetto di così ampia portata.
Di seguito, tratta dall'URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=48508, riporto il testo letterale della sentenza da cui ha tratto spunto questo mio post.

Avv. Massimiliano Ferretti.  Retelegale Livorno

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 8 luglio 2009, n. 27995
Fatto e diritto
1 - Il Tribunale di Agrigento - sezione di Canicattì -, con sentenza 22/3/2005, dichiarava L. F. colpevole del reato di cui all’art. 388 c.p. (per avere eluso il provvedimento del giudice civile in ordine all’affidamento del figlio minore A., impedendo al padre, G. L., di tenerlo con sé nel periodo stabilito) e la assolveva dal reato di tentata violenza privata (per avere tentato di costringere il marito, con la minaccia di non fargli vedere il figlio, a corrispondergli l’assegno mensile stabilito in sede di separazione) perché il fatto non sussiste.
2 - La Corte d’Appello di Palermo, investita dai gravami dell’imputata e del P.G., con sentenza 23/11/2005, riformando in parte la decisione di primo grado, dichiarava la F. colpevole anche di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), cosi qualificata l’originaria imputazione ex artt. 56-610 c.p., unificava i due reati sotto il vincolo della continuazione, rideterminava la pena, tenuto conto delle già concesse attenuanti generiche, in giorni venti di reclusione, sostituiti con euro 760,00 di multa, e confermava nel resto la pronuncia impugnata.
3 - Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, lamentando la violazione della legge penale e il vizio di motivazione: a) quanto al reato di cui all’art. 388 c.p., ha stigmatizzato lo scarso interesse del L. ad intrattenere rapporti significativi col figlio, tanto che quest’ultimo, a lei affidato, non aveva dimostrato alcuna disponibilità ad allontanarsi, nel mese di ( …) dal suo ambiente abituale, sicché la scelta da lei fatta era stata determinata dalla sola ragione di evitare un trauma al bambino; b) quanto al reato di cui agli artt. 56-393 c.p., nessuna prova affidabile era stata acquisita.
Il ricorso non è fondato.
Rileva la Corte, in ordine alla prima doglianza, che l’elusione dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei coniugi si realizza anche attraverso la mancata ottemperanza al provvedimento medesimo. “Eludere”, infatti, significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione, che, nella specie, è consistita nel rifiuto della F., alla quale era affidato il bambino, di far sì che lo stesso trascorresse col padre il periodo di vacanza prestabilito. L’asserito esercizio del diritto-dovere di avere agito esclusivamente nell’interesse del minore, che avrebbe manifestato indisponibilità ad allontanarsi, sia pure temporaneamente, dal suo ambiente abituale, è rimasto indimostrato. Non va, peraltro, sottaciuto che rientra nei doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. L’ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo.
Non risulta che la F. si sia mossa nella direzione che il suo dovere di madre, a prescindere da spinte egoistiche, le imponeva a tutela della posizione del figlio, né risulta una situazione che rendeva impraticabile l’affidamento, sia pure temporaneo, del minore al padre, situazione che, peraltro, se reale, avrebbe dovuto essere rappresentata tempestivamente alla competente Autorità Giudiziaria per gli opportuni provvedimenti.
La seconda censura è assolutamente generica e non idonea a porre in crisi gli argomenti che il Giudice a quo ha posto a base del ritenuto reato di cui agli artt. 56-393 c.p., provato dalla precisa e attendibile testimonianza del L., destinatario della telefonata ricattatoria da parte della moglie, che, per indurlo a rispettare più puntualmente i suoi obblighi di natura economica, aveva minacciato di ostacolare in ogni modo gli incontri tra padre e figlio, circostanza quest’ultima che rappresenta - tra l’altro - una ulteriore conferma della fondatezza del primo capo d’accusa.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Consegue, di diritto, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

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