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RETELEGALE FIRENZE

mercoledì 31 marzo 2010
Ecco la nota che tutti aspettavamo e che tutti ci aspettavamo. Il Presidente della Repubblica ha esercitato un potere che gli conferisce la Costituzione (finché c'è) chiedendo alle Camere, a norma dell'art. 74 primo comma, una nuova deliberazione in ordine alla legge: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro". Nella nota diffusa dal Quirinale si legge “Il Capo dello Stato è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e, in particolare, dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale.”. Il disegno di legge 1167b approvato dal Senato il 3 marzo 3010 di iniziativa governativa e, più precisamente, del Ministro Tremonti, è approdato come da procedura sulla scrivania del Presidente della Repubblica per la sottoscrizione e la successiva promulgazione. In questa fase il capo dello Stato ha la facoltà di chiedere una ulteriore votazione alle Camere indicando, specificandone i motivi, quali temi risultano incompatibili con la Costituzione.
Gli articoli sotto esame dunque sono il 31 e il 20, vediamo che cosa prevedono.
L'art. 20 interpretava in maniera “autentica” i primi due articoli della L. n. 51/1955 escludendo dalla delega al potere esecutivo ad
emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e
di igiene del lavoro, oltre agli aeromobili anche il naviglio di Stato, precisando
la portata e gli effetti dell’intervento normativo.
Questa norma interpretativa sortirebbe il nefasto effetto di bloccare l'inchiesta della Procura di Torino su 142 uomini della Marina Militare morti per esposizione all'amianto e un processo pendente presso il Tribunale di Padova per la morte di altri due militari.
L'art. 31 contiene la norma che introduce l'arbitrato c.d.”obbligatorio” per le controversie di Lavoro togliendo al Tribunale la giurisdizione in quella materia.
Abbiamo cercato in questi giorni di dimostrare come in realtà la norma in questione non introduca una possibilità ma, in considerazione della evidente sproporzione tra le diverse forze contrattuali, un diktat per il lavoratore che si troverebbe di fronte ad una scelta obbligata: sottoscrivere il contratto individuale che contiene la clausola che impone il ricordo ad arbitri e, conseguentemente, vieta il ricorso al tribunale in caso di controversia e quindi accedere al mondo del lavoro oppure non firmare e rimanere senza lavoro e senza retribuzione.
Al contempo si rende per la prima volta oneroso l'accesso alla tutela dei diritti dei lavoratori essendo previsto, logicamente, un compenso per i componenti del collegio di conciliazione.
Insomma, una norma “disastro” che non ha bisogno di una nuova lettura o una nuova disamina ma ha bisogno di essere dimenticata e mai più riproposta.
Al di la' delle considerazioni di merito che tutti quanti in questi giorni hanno potuto leggere e discutere, deve essere evidenziata la portata della norma con riferimento allo stravolgimento che la stessa, così come formulata, avrebbe determinato nel nostro ordinamento. Il Tentativo di conciliazione, che prima era obbligatorio, sarebbe diventato facoltativo e, in quella sede, lo stesso si sarebbe potuto trasformare in itinere, in arbitrato. Il Giudice del Lavoro sarebbe stato obbligato a formulare, così come il collegio di conciliazione, una proposta transattiva e dinanzi al rifiuto ingiustificato della stessa da parte, ad esempio, del lavoratore ne avrebbe dovuto tenere di conto ai fini del giudizio. I contratti individuali in essere sarebbero stati tutti quanti rinnovati con la previsione della clausola compromissoria in forza della quale tutte le controversie che avrebbero potuto insorgere tra datore e lavoratore sarebbero stato affidate ad arbitri privati e non più ai Giudici. Gli arbitri, poi, avrebbero potuto decidere secondo equità e non nel pieno e rigido rispetto delle norma così come invece è obbligato a fare il Giudice e questo avrebbe aperto un ulteriore contenzioso di secondo grado sull'impugnazione delle transazioni sancite dai vari lodi.
Insomma, il caos più totale.
Ma a destare più di un dubbio non sono solo questi due articoli. L'attenzione, infatti, avrebbe dovuto essere posta anche sull'art. 32 del DDL in esame perché, peraltro, l'art. 31 sarebbe stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale quasi sicuramente.
L'art. 32, invece, introduce nuove disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’impugnazione dei
licenziamenti individuali ed ai criteri di determinazione della misura del
risarcimento del danno nei casi in cui è prevista la conversione del contratto
di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
Questa norma, in pratica, modifica l’art. 6 primo e secondo comma della L. 604/1966 stabilendo che il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro il
termine di 60 giorni dalla comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei
motivi dello stesso, se successivi. Fin qui tutto bene. La medesima norma prevede poi che all'impugnazione stragiudiziale deve
seguire, a pena di inefficacia della stessa, entro il termine di 180 giorni, il
deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del lavoro, ovvero la comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione
o arbitrato.
Se non si raggiunge l'accordo in sede di conciliazione si deve procedere al deposito del ricorso entro 60 giorni dal
rifiuto o dal mancato accordo.

Il comma 3 estende poi l'applicabilità questa norma anche “ai
licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla
qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine
apposto al contratto”. Non solo. E' previsto che questi termini di decadenza (60 stragiudiziale e 180 giudiziale) si applichino altresì: al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e nei contratti a progetto; all’azione di nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato, con termine che decorre dalla scadenza del medesimo; al trasferimento ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile ed in questo caso il termine decorrerebbe dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento; ai casi di trasferimento o affitto di azienda o di ramo d'azienda di cui all’articolo 2112 del
codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento;
in ogni altro caso in cui si domandi la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro
nei confronti di un soggetto diverso dal titolare del contratto (somministrazione irregolare di manodopera, appalto, distacco).

Il comma 5, poi, prevede la sanzione conseguente alla
dichiarazione giudiziale di conversione di un contratto a termine in un
contratto a tempo indeterminato identificandola in un risarcimento del danno da computarsi nella misura da 2,5 a
12 mensilità. Questa norma, peraltro, sembrerebbe aggiungere al risarcimento così come sopra specificato, le retribuzioni maturate dal lavoratore che abbia offerto
le sue prestazioni, per il periodo che va dalla messa in mora al momento
della sentenza.

Ma l'abnormità più evidente è racchiusa nel comma 2 dell'art. 32 che testualmente recita: “Le disposizioni di cui all’articolo 6
della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si
applicano anche a tutti i casi di invalidità e di inefficacia del licenziamento.”. Da un lato, quindi, il comma secondo rende del tutto pleonastico il comma terzo che prevede specificamente a quali altri casi di invalidità si applica “inoltre” il comma 1 che modifica l’articolo 6
della legge 15 luglio 1966, n. 604, dall'altro nasconde uno sconvolgente paradosso. Tra le causa di inefficacia e invalidità del licenziamento può rientrare anche il licenziamento in forma orale. In quel caso il lavoratore dovrebbe provare, e potrebbe essere impossibile, che il recesso illegittimo si è verificato nei sessanta giorni precedenti la data di ricezione dell'impugnazione da parte del datore di lavoro. Non solo. Quest'ultimo sarebbe senz'altro agevolato nel fornire la prova contrario per mezzo di altri lavoratori per così dire “spontaneamente collaborativi”.
Non solo gli articoli 20 e 31, che pure sono mal congegnati ed incomprensibili tanto da poter condurre a conseguenze devastanti per il nostro ordinamento, ma anche l'art. 32, Signor Presidente, avrebbe dovuto attirare la sua attenzione sotto molteplici profili.
Ciò detto, Sacconi ha già anticipato che verranno apportati alcuni ritocchi e che si procederà ad una nuova votazione. Mi pare evidente che i ritocchi non siano sufficienti e questa volta, a differenza della prima, sarebbe opportuno che CGIL -che già si è battuta contro questa legge- PD, IDV e tutti quelli che hanno a cuore un sistema giuridico coerente e armonico, cominciassero da subito a individuare soluzioni alternative a quelle proposte da Tremonti, facendo capire in tutti i modi che questa legge non deve passare, pena la perdita definitiva dei diritti dei lavoratori così come li abbiamo conosciuti sino ad ora.
Da parte nostra continueremo a dar battaglia con questo tipo di informazione, con convegni, conferenze, dibattiti, incontri e non ci stancheremo di tentare di coinvolgere tutta la società civile in questa vicenda così enorme e così poco conosciuta. La complessità della materia non deve essere una giustificazione: in gioco c'è il futuro di tutti e, quindi, è assolutamente fondamentale attrezzarsi per combattere queste istanze controriformiste in ogni sede.

Avv. Marco Guercio – Coordinatore Nazionale di Retelegale.net

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