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RETELEGALE FIRENZE

mercoledì 3 marzo 2010
Nelle procedure espropriative riveste notevole importanza l’istituto della cessione volontaria. Ricevuta la notifica dell'indennità provvisoria, il proprietario espropriando potrebbe decidere di accettarne l'importo. In tal caso, l'indennità provvisoria diventerebbe definitiva. L'atto con cui si concorda l'indennità è però cosa ben diversa dall'atto di cessione volontaria. Infatti la giurisprudenza e la dottrina sono concordi nel ritenere che l'accordo amichevole raggiunto dalle parti, sull'ammontare dell'indennità di esproprio o sul corrispettivo della cessione volontaria, non realizzi il trasferimento della proprietà dell'immobile dal titolare del diritto dominicale all'ente pubblico, occorrendo, invece, necessariamente che il procedimento ablatorio si concluda o con il decreto di esproprio o con il contratto di cessione volontaria.
La cessione volontaria di un immobile costituisce un contratto ad oggetto pubblico che, inserito nell'ambito di un procedimento espropriativo, lo conclude, eliminando la necessità di un provvedimento amministrativo di acquisizione coatta della proprietà privata. Questo non esclude che un bene immobile possa essere trasferito all'ente pubblico a mezzo di un contratto di compravendita, del tutto assoggettato alla disciplina privatistica. Occorre quindi distinguere se in pratica ci si sia avvalsi dell'uno o dell'altro strumento contrattuale (anche ai fini dell'applicabilità di istituti connessi alla procedura pubblicistica dell'espropriazione, quali la determinazione dell'indennizzo secondo i canoni legali e la retrocessione del bene ove l'opera pubblica non sia stata realizzata). Elementi costitutivi indispensabili per configurare la cessione volontaria (che valgono, altresì, a differenziarla dalla compravendita) sono secondo la giurisprudenza:
a) l'inserimento del contratto nell'ambito di un procedimento espropriativo;
b) la preesistenza nell'ambito del procedimento non solo della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera realizzanda, ma anche del subprocedimento di determinazione dell'indennità da parte dell'espropriante, che deve essere da quest'ultimo offerta e dall'espropriando accettata (puramente e semplicemente);
c) il prezzo di cessione deve essere obbligatoriamente correlato ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell'indennità spettante in caso di espropriazione, parametri dai quali non è possibile discostarsi (ex multis CDS 874/2007; Cassazione civile, sez. I, 11 marzo 2006, n. 5390).
Si tenga presente tra l'altro che il trattamento fiscale degli atti di cessione volontaria è più favorevole ripetto agli ordinari atti di compravendita, e questo costituisce un ulteriore elemento di distinzione tra i due tipi di atti.
Si ritiene in dottrina e giurisprudenza che la natura dell'atto di cessione si collochi in un ambito promiscuo tra il diritto pubblico e il diritto privato: infatti viene per lo più considerato un contratto pubblicistico la cui conclusione è, allo stesso tempo, soggetta alla disciplina privatistica, caratterizzata non dalla posizione di preminenza dell'amministrazione espropriante, ma dall'incontro paritetico delle volontà: gli effetti traslativi della proprietà traggono origine dal contratto, non da provvedimenti amministrativi, che pure parallelamente caratterizzano il perfezionamento della volontà dell'ente, con il quale le parti concludono in via negoziale la vicenda ablatoria.
Nel sistema della legge generale sull'espropriazione di pubblica utilità, la cessione volontaria, siccome regolata da disposizioni di carattere inderogabile e tassativo, ha dunque natura di negozio di diritto pubblico, che assolve alla funzione propria del decreto di espropriazione di segnare l'acquisto, a titolo originario, in favore della P.A., del bene compreso nel piano d'esecuzione dell'opera pubblica. Da tale equiparazione discende la necessaria conseguenza che, anche nell'ipotesi di acquisto del bene a mezzo di cessione volontaria, una volta pronunciata l'espropriazione e trascritto il relativo procedimento, tutti i diritti relativi agli immobili espropriati possono essere fatti valere esclusivamente sull'indennità. Sicché, il terzo che pretenda di far valere il diritto di proprietà (ad esempio per intervenuta usucapione) su tutto o parte del bene già trasferito all'espropriante non può proporre azione di rivendicazione in favore dell'espropriante, ma deve far valere il proprio diritto nei confronti dell'espropriato, sull'indennità di espropriazione. Infatti, ai sensi dell'art. 34, secondo comma, TUE: «dopo la trascrizione del decreto di esproprio o dell'atto di cessione, tutti i diritti relativi al bene espropriato possono essere fatti valere esclusivamente sull'indennità». Sull'applicazione giurisprudenziale di tali principi si veda fra le altre Cassazione civile, sez. II, 24 giugno 2008, n. 17172. Inoltre, ai sensi dell'art. 45.3 TUE: «l'accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l'acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato». L'equiparazione con il decreto di esproprio comporta che il terzo, che ritenga di avere un diritto sull'indennità, possa proporre opposizione al giudice ordinario (Corte d'Appello), mentre chi è stato chiamato a concludere l'accordo può impugnarlo, in linea di massima, innanzi al giudice amministrativo. Da tenere presente peraltro che, in tema di cessione volontaria, l'inadempimento da parte dell'espropriante con acquisizione alla proprietà pubblica avvenuta per irreversibile trasformazione del fondo occupato, comporta una sua responsabilità di natura contrattuale con obbligo di risarcire il danno, stante la non restituibilità del bene. La causa, al pari di tutte le controversie contrattuali, rientra nella giurisdizione del g.o., quale giudice dei diritti, senza che rilevi, ai fini della giurisdizione, l'emanazione, ai sensi dell'art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001, di provvedimento di acquisizione sanante, in quanto, a prescindere dall'impossibilità di applicazione retroattiva della norma nel caso di dichiarazione di pubblica utilità emessa anteriormente alla sua entrata in vigore, è lo stesso art. 43 cit. che attribuisce la giurisdizione al g.a. nella diversa ipotesi di impugnazione di provvedimenti amministrativi ove sia esercitata un'azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico (si veda in proposito Cassazione civile, sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26732).
Secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, siccome nell'ambito della cessione volontaria la somma pattuita, come abbiamo visto, non è un corrispettivo rimesso alla libera determinazione delle parti, bensì una indennità commisurata al paramento legale, non risulterebbero applicabili le disposizioni in materia di risoluzione e di rescissione del contratto. Ne consegue però che, se la manifestazione di volontà delle parti è riferita ad un prezzo che non sia stato ricavato dall'Amministrazione sulla base dei summenzionati criteri legali, viene a mancare ogni efficacia negoziale pubblicistica, e vi è solo un contratto avente natura privatistica (con conseguente giurisdizione del giudice ordinario CASS. S.U. 4632/2007). In giurisprudenza, inoltre, è stata più volte sancita l'ammissibilità dell'azione di nullità e di annullamento del contratto di cessione volontaria (si veda fra tutte CASS. 8969/2000). La nullità può riguardare anche una singola clausola, come a volte accade per quella determinativa del prezzo. La cessione volontaria è caratterizzata, come abbiamo visto, dalla inderogabilità delle regole sulla determinazione dell'indennità di esproprio, sicché nel caso di deroga va sostituito l'importo pattuito applicando i criteri legali, sanando così la nullità relativa della clausola (Cassazione civile, sez. I, 5 luglio 2000, n. 8969).
Da tenere presente che, ai sensi dell'art. 45.1 TUE, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell'espropriazione l'atto di cessione del bene «fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell'opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio». Il termine iniziale è dunque costituito dalla dichiarazione della pubblica utilità; prima di tale evento le parti non possono stipulare l'atto di cessione, mentre il termine finale è costituito dalla data di esecuzione del decreto di esproprio, in quanto è con l'esecuzione del decreto che si produce l'effetto traslativo del bene (la stipula dell'atto di cessione dopo la esecuzione sarebbe a tutti gli effetti nullo per mancanza dell'oggetto). Il testo unico, art. 20, disciplina l'ipotesi in cui, una volta condivisa la determinazione della misura dell'indennità, non sia stipulato l'atto di cessione per rifiuto o inadempimento del proprietario: “9. Il beneficiario dell'esproprio ed il proprietario stipulano l'atto di cessione del bene qualora sia stata condivisa la determinazione della indennità di espropriazione e sia stata depositata la documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene. Nel caso in cui il proprietario percepisca la somma e si rifiuti di stipulare l'atto di cessione del bene, può essere emesso senza altre formalità il decreto di esproprio, che dà atto di tali circostanze, e può esservi l'immissione in possesso, salve le conseguenze risarcitorie dell'ingiustificato rifiuto di addivenire alla stipula.
12. L'autorità espropriante, anche su richiesta del promotore dell'espropriazione, può altresì emettere ed eseguire il decreto di esproprio, dopo aver ordinato il deposito dell'indennità condivisa presso la Cassa depositi e prestiti qualora il proprietario abbia condiviso la indennità senza dichiarare l'assenza di diritti di terzi sul bene, ovvero qualora non effettui il deposito della documentazione di cui al comma 8 nel termine ivi previsto ovvero ancora non si presti a ricevere la somma spettante.”
Non risulta, invece, disciplinata legislativamente l'ipotesi che la mancata stipula dipenda dall'autorità espropriante, ma a tale lacuna ha sopperito la giurisprudenza. Infatti il mancato perfezionamento dell'atto di cessione per inerzia della Autorità espropriante o mancata emanazione del decreto di esproprio entro i termini della dichiarazione di pubblica utilità, non producendo alcun effetto traslativo (ricondotto al solo al successivo atto negoziale), comporta automaticamente la perdita di efficacia dell'accordo. Infatti l'accordo amichevole sull'ammontare dell'indennità di espropriazione non comporta una cessione volontaria del bene che renda non più necessario il completamento del procedimento espropriativo al fine del passaggio della proprietà del bene dall'espropriato all'espropriante. Peraltro, non essendo l'amministrazione che ha iniziato un siffatto procedimento obbligata per legge a completarlo, non è configurabile in capo al privato che abbia concluso detto accordo un diritto ad essere espropriato, ma solo un diritto a ricevere l'indennità nella misura concordata quando l'esproprio abbia luogo, mentre, se il procedimento non si conclude con l'espropriazione, viene meno, come detto, l'efficacia dell'accordo (ex plurimis CASS 9925/2005).
Ricordiamo che, una volta concordata l'indennità offerta, l'autorità espropriante, in alternativa alla cessione volontaria, può procedere alla emissione e all'esecuzione del decreto di esproprio. Ovviamente al proprietario che abbia accettato l'indennità offerta spetta l'importo di cui all'articolo 45 TUE, comma 2, anche nel caso in cui l'autorità espropriante abbia emesso il decreto di espropriazione ai sensi dei commi 10 e 12 art. 20 TUE.
Il negozio di cessione volontaria concluso da un'amministrazione comunale nell'ambito di un procedimento espropriativo si deve ritenere soggetto, al pari di ogni contratto stipulato dalle pubbliche amministrazioni, all'osservanza di tutti gli adempimenti richiesti dall'evidenza pubblica, primo fra tutti il requisito della forma scritta "ad substantiam", che ne costituisce elemento essenziale avente funzione costitutiva e non dichiarativa, conseguendone che la prova dell'esistenza e del contenuto di tale negozio, specie per quanto attiene all'obbligazione di pagare il prezzo da parte dell'amministrazione, non può essere fornita attraverso la confessione o il riconoscimento di debito (Cassazione civile, sez. I, 15 gennaio 2007, n. 621)
L'Autorità espropriante è tenuta per legge alla successiva trascrizione ai sensi dell'art. 2010, che presuppone un atto in forma pubblica o scrittura privata autenticata (art. 2657 c.c.).
Avv. Giuseppe Spanò
Retelegale Parma

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