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venerdì 26 febbraio 2010
In Italia riparte la stagione della caccia all'anarchico, simpatica tradizione un po' come la caccia alla volpe in Inghilterra, dove però la maggioranza ha costretto il Governo ha dichiararla fuorilegge, mentre da noi, evidentemente, la sensibilità per la libertà di espressione e di dissenso è ormai ridotta ai minimi termini.
L'iniziativa della Procura ha numerose ragioni, diciamo che è stata quasi inevitabile: siamo in periodo pre-elettorale; ogni giorno le altre procure d'Italia arrestano e inquisiscono esponenti più o meno noti dell'area berlusconiana; in Valle di Susa l'opposizione della popolazione ha dimostrato di esserci e di essere efficace, costringendo di nuovo lo Stato all'uso esagerato della forza.
Tutto ciò dev'essere in qualche modo equilibrato in maniera da convincere l'elettorato di centro che i cattivi non stanno solo da una parte (i corrotti a destra e gli insurrezionalisti collocati a sinistra) ma soprattutto i buoni sono, appunto, al centro e il centro è il PD (con o senza UDC).
A scorrere le cronache dei giornali cittadini – che questa volta non hanno bisogno di creare nessun fumus diffamationis, basta che riportino le dichiarazioni della Procura – si scopre che l'associazione a delinquere, contestata con funzione “preventiva” come ha dichiarato Gian Carlo Caselli, risulterebbe finalizzata alla commissione di reati dall'elevatissmo pericolo sociale quali lo spargimento di escrementi in un ex noto ristorante torinese, un girotondo attorno ad un'abitazione di un dirigente della Croce Rossa, l'occupazione della sede di un sindacato, poi ingiurie, minacce, danneggiamenti, resistenze a pubblico ufficiale. Insomma nessun reato contro la persona, nessuna violenza grave a danno né di cittadini né delle forze dell'ordine, sostanzialmente reati d'opinione, reati a querela o, probabilmente, condotte del tutto lecite (protestare sotto casa di qualcuno non è reato, a meno che non avvenga nelle ore dedicate al riposo..).
Sull'altro fronte, quello dello Stato, il contrasto a queste condotte “criminali” avviene con la privazione della libertà, ormai adottata con una leggerezza che davvero terrorizza (che sia proprio questo l'obiettivo? Vedremo...), irrompendo in una radio da una finestra (era proprio necessario?) e impedendone le trasmissioni e - anche se i fatti non attengono direttamente all'inchiesta ma il legame è evidente e comunque sottolineato dalla stessa procura – picchiando selvaggiamente e inutilmente in Valle di Susa non solo uno degli indagati (che non è comunque una scusante!) ma anche una signora la cui unica colpa sembra essere quella di aver ritenuto ancora possibile protestare.
Tutto ciò ha drammaticamente il sigillo del dott. Gian Carlo Caselli e quindi l'imprimatur massimo della rettitudine, dell'impegno sociale, della serietà professionale, dell'abnegazione che gli deriva da anni di inchieste e di lavoro prima contro le B.R., poi contro le mafie. L'uomo immagine della Magistratura militante al servizio dei valori della Costituzione, uno dei fondatori morali di Libera e della sua esperienza di rinascita sociale.
Ma allora come può succedere che oggi si ritrovi sul medesimo piano delle procure che hanno contestato l'associazione sovversiva, la devastazione, la finalità terroristica a semplici militanti antagonisti, sovente anche poco rappresentativi sul piano locale o, all'opposto, persino eletti in partiti al governo di province e regioni, inchieste tutte poi risolte con un nulla di fatto o con imputazioni risibili sul piano giuridico?
La posizione della Procura – colpire tutti i reati per garantire il diritto al dissenso pacifico – per essere credibile dovrebbe inoltre avere come obiettivo tutti quei comportamenti che si pongono in evidente contrasto con la Costituzione, ad iniziare ad esempio proprio da quelli delle forze dell'ordine; invece la tolleranza verso l'uso della violenza non necessaria, l'adozione di procedure eclatanti (perquisizioni notturne, sfondamento di porte e finestre), provvedimenti di prevenzione, sembrano seguire un'ottica tragicamente parziale e sbilanciata, costretta a mutare solo di fronte ai morti, Aldrovandi, Cucchi, Sandri...
Sconcerta, soprattutto chi si occupa di giustizia per mestiere, percepire che, in fondo, forse, ha proprio ragione chi dice che le Procure possono perseguitare, sotto l'egida della norma asseritamente violata, anche quando questa norma ha la sua genesi in un codice penale fascista, pieno zeppo di reati d'opinione che vent'anni fa sembravano lì lì per essere aboliti. Di certo qualcosa è cambiato nella giustizia italiana, e non in meglio.
E poi la funzione “preventiva” delle inchieste. Ma è mai possibile allora che la prevenzione debba essere applicata diligentemente solo nei confronti del dissenso politico (ed in particolare di quello che colpisce enormi interessi economici) e non invece a tutela della vita dei lavoratori, della salute dei cittadini, dell'ambiente, dei migranti, dei rifugiati politici e dei profughi. Un solo esempio, dott. Caselli: non pensa che gli amministratori pubblici della città di Torino avessero degli obblighi (obblighi legali intendo, non morali) di tutela e protezione verso i profughi del Corno d'Africa e che il mancato tempestivo intervento nei confronti del gruppo - prima costretto ad occupare l'ex clinica San Paolo e poi trasferito alla Caserma di v. Asti- meritasse quanto meno un'indagine della Procura per capire se sussistessero ipotesi di abuso d'ufficio mediante omissione? Quanto meno a scopo preventivo!
Quanto danno provoca alla credibilità della giustizia questo modo di operare? Chi, davvero, sta lavorando per mantenere il berlusconismo al potere per i prossimi decenni? Di cosa si nutrono veramente le mafie? Personalmente credo che l'impegno politico e sociale degli arrestati e l'attività di Radio Blackout, al di là delle convinzioni individuali e delle singole azioni, siano di contrasto alla criminalità organizzata e al degrado della convivenza civile molto più di tante iniziative propagandistiche e pubblicitarie che hanno grande risonanza sui media, ma ben poca influenza sulle persone.
Difendiamo la Costituzione, ma difendiamola per quello che contiene, per i diritti e le libertà che riconosce, per i valori che pone al centro della convivenza sociale; ricordiamoci soprattutto di come è stata conquistata, di cosa è stata la lotta contro il fascismo e cosa è oggi fascismo.
Alessio Ariotto, Retelegale Torino
L'iniziativa della Procura ha numerose ragioni, diciamo che è stata quasi inevitabile: siamo in periodo pre-elettorale; ogni giorno le altre procure d'Italia arrestano e inquisiscono esponenti più o meno noti dell'area berlusconiana; in Valle di Susa l'opposizione della popolazione ha dimostrato di esserci e di essere efficace, costringendo di nuovo lo Stato all'uso esagerato della forza.
Tutto ciò dev'essere in qualche modo equilibrato in maniera da convincere l'elettorato di centro che i cattivi non stanno solo da una parte (i corrotti a destra e gli insurrezionalisti collocati a sinistra) ma soprattutto i buoni sono, appunto, al centro e il centro è il PD (con o senza UDC).
A scorrere le cronache dei giornali cittadini – che questa volta non hanno bisogno di creare nessun fumus diffamationis, basta che riportino le dichiarazioni della Procura – si scopre che l'associazione a delinquere, contestata con funzione “preventiva” come ha dichiarato Gian Carlo Caselli, risulterebbe finalizzata alla commissione di reati dall'elevatissmo pericolo sociale quali lo spargimento di escrementi in un ex noto ristorante torinese, un girotondo attorno ad un'abitazione di un dirigente della Croce Rossa, l'occupazione della sede di un sindacato, poi ingiurie, minacce, danneggiamenti, resistenze a pubblico ufficiale. Insomma nessun reato contro la persona, nessuna violenza grave a danno né di cittadini né delle forze dell'ordine, sostanzialmente reati d'opinione, reati a querela o, probabilmente, condotte del tutto lecite (protestare sotto casa di qualcuno non è reato, a meno che non avvenga nelle ore dedicate al riposo..).
Sull'altro fronte, quello dello Stato, il contrasto a queste condotte “criminali” avviene con la privazione della libertà, ormai adottata con una leggerezza che davvero terrorizza (che sia proprio questo l'obiettivo? Vedremo...), irrompendo in una radio da una finestra (era proprio necessario?) e impedendone le trasmissioni e - anche se i fatti non attengono direttamente all'inchiesta ma il legame è evidente e comunque sottolineato dalla stessa procura – picchiando selvaggiamente e inutilmente in Valle di Susa non solo uno degli indagati (che non è comunque una scusante!) ma anche una signora la cui unica colpa sembra essere quella di aver ritenuto ancora possibile protestare.
Tutto ciò ha drammaticamente il sigillo del dott. Gian Carlo Caselli e quindi l'imprimatur massimo della rettitudine, dell'impegno sociale, della serietà professionale, dell'abnegazione che gli deriva da anni di inchieste e di lavoro prima contro le B.R., poi contro le mafie. L'uomo immagine della Magistratura militante al servizio dei valori della Costituzione, uno dei fondatori morali di Libera e della sua esperienza di rinascita sociale.
Ma allora come può succedere che oggi si ritrovi sul medesimo piano delle procure che hanno contestato l'associazione sovversiva, la devastazione, la finalità terroristica a semplici militanti antagonisti, sovente anche poco rappresentativi sul piano locale o, all'opposto, persino eletti in partiti al governo di province e regioni, inchieste tutte poi risolte con un nulla di fatto o con imputazioni risibili sul piano giuridico?
La posizione della Procura – colpire tutti i reati per garantire il diritto al dissenso pacifico – per essere credibile dovrebbe inoltre avere come obiettivo tutti quei comportamenti che si pongono in evidente contrasto con la Costituzione, ad iniziare ad esempio proprio da quelli delle forze dell'ordine; invece la tolleranza verso l'uso della violenza non necessaria, l'adozione di procedure eclatanti (perquisizioni notturne, sfondamento di porte e finestre), provvedimenti di prevenzione, sembrano seguire un'ottica tragicamente parziale e sbilanciata, costretta a mutare solo di fronte ai morti, Aldrovandi, Cucchi, Sandri...
Sconcerta, soprattutto chi si occupa di giustizia per mestiere, percepire che, in fondo, forse, ha proprio ragione chi dice che le Procure possono perseguitare, sotto l'egida della norma asseritamente violata, anche quando questa norma ha la sua genesi in un codice penale fascista, pieno zeppo di reati d'opinione che vent'anni fa sembravano lì lì per essere aboliti. Di certo qualcosa è cambiato nella giustizia italiana, e non in meglio.
E poi la funzione “preventiva” delle inchieste. Ma è mai possibile allora che la prevenzione debba essere applicata diligentemente solo nei confronti del dissenso politico (ed in particolare di quello che colpisce enormi interessi economici) e non invece a tutela della vita dei lavoratori, della salute dei cittadini, dell'ambiente, dei migranti, dei rifugiati politici e dei profughi. Un solo esempio, dott. Caselli: non pensa che gli amministratori pubblici della città di Torino avessero degli obblighi (obblighi legali intendo, non morali) di tutela e protezione verso i profughi del Corno d'Africa e che il mancato tempestivo intervento nei confronti del gruppo - prima costretto ad occupare l'ex clinica San Paolo e poi trasferito alla Caserma di v. Asti- meritasse quanto meno un'indagine della Procura per capire se sussistessero ipotesi di abuso d'ufficio mediante omissione? Quanto meno a scopo preventivo!
Quanto danno provoca alla credibilità della giustizia questo modo di operare? Chi, davvero, sta lavorando per mantenere il berlusconismo al potere per i prossimi decenni? Di cosa si nutrono veramente le mafie? Personalmente credo che l'impegno politico e sociale degli arrestati e l'attività di Radio Blackout, al di là delle convinzioni individuali e delle singole azioni, siano di contrasto alla criminalità organizzata e al degrado della convivenza civile molto più di tante iniziative propagandistiche e pubblicitarie che hanno grande risonanza sui media, ma ben poca influenza sulle persone.
Difendiamo la Costituzione, ma difendiamola per quello che contiene, per i diritti e le libertà che riconosce, per i valori che pone al centro della convivenza sociale; ricordiamoci soprattutto di come è stata conquistata, di cosa è stata la lotta contro il fascismo e cosa è oggi fascismo.
Alessio Ariotto, Retelegale Torino
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Il Tribunale di Roma, con la sentenza 2644-2010, ha confermato l'indirizzo giuresprudenziale (di cui davamo atto nella precedente nota) che riconosce la piena utilizzabilità, ai fini del versamento dei contributi sindacali, a favore delle organizzazioni non firmatarie, dell'istituto della cessione del credito.
Infatti, il D.P.R. 180-1950, nella versione novellata, non vietando l'utilizzabilità dell'istituto della cessione, si limita a porre in essere una diversa regolamentazione delle cessioni di credito, a seconda che la causa della cessione sia riconducibile al pagamento di prestiti in danaro oppure al pagamento di debiti diversi.
Al riguardo, il Tribunale di Roma, compiendo l'esegesi del predetto D.P.R., lucidamente osserva:
"la nuova normativa non ha quindi introdotto un divieto generale di cessioni di credito di natura retributiva ... ma ha soltanto resa più rigida per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, la duisciplina in materia di cessioni del quinto dello stipendio finalizzate all'estinzione di prestiti monetari, al chiaro fine di contrastare il fenomeno dell'usura. L'ipotesi del prestito non costituisce, tuttavia, l'unica possibile cessione del credito retributivo, come dimostra la previsione dell'articolo 52 ...".
Alla luce di tale pronuncia, può dunque ritenersi maggioritario l'orientamento giuresprudenziale che riconosce, pur nella vigenza del novellato D.P.R. 180 del 1950, l'utilizzabilità dello strumento della cessione, ai fini del versamento dei contributi sindacali a favore di quelle organizzazioni che non hanno provveduto a sottoscrivere il c.c.n.l..
Rete Legale Roma -Vincenzo Caponera
Infatti, il D.P.R. 180-1950, nella versione novellata, non vietando l'utilizzabilità dell'istituto della cessione, si limita a porre in essere una diversa regolamentazione delle cessioni di credito, a seconda che la causa della cessione sia riconducibile al pagamento di prestiti in danaro oppure al pagamento di debiti diversi.
Al riguardo, il Tribunale di Roma, compiendo l'esegesi del predetto D.P.R., lucidamente osserva:
"la nuova normativa non ha quindi introdotto un divieto generale di cessioni di credito di natura retributiva ... ma ha soltanto resa più rigida per i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, la duisciplina in materia di cessioni del quinto dello stipendio finalizzate all'estinzione di prestiti monetari, al chiaro fine di contrastare il fenomeno dell'usura. L'ipotesi del prestito non costituisce, tuttavia, l'unica possibile cessione del credito retributivo, come dimostra la previsione dell'articolo 52 ...".
Alla luce di tale pronuncia, può dunque ritenersi maggioritario l'orientamento giuresprudenziale che riconosce, pur nella vigenza del novellato D.P.R. 180 del 1950, l'utilizzabilità dello strumento della cessione, ai fini del versamento dei contributi sindacali a favore di quelle organizzazioni che non hanno provveduto a sottoscrivere il c.c.n.l..
Rete Legale Roma -Vincenzo Caponera
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martedì 16 febbraio 2010
La giurisprudenza di merito e di legittimità si è espressa in più occasioni sulla liceità penale ( o meno) delle occupazioni scolastiche.
Con sentenza del 30 marzo 2000 la II sezione della Corte di cassazione è intervenuta sul punto statuendo che: “ Non è applicabile l'art. 633 alle occupazioni studentesche perché tale norma ha lo scopo di punire solo l'arbitraria invasione di edifici e non qualsiasi occupazione illegittima. .... L'edificio scolastico, inoltre, pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, che non sono dei semplici frequentatori, ma soggetti attivi della comunità scolastica e pertanto non si ritiene che sia configurato un loro limitato diritto di accesso all'edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista l'attività scolastica in senso stretto.”
Tale sentenza ha, inoltre, il pregio di individuare correttamente il momento consumativo e la condotta del reato contestato ed opera una sagace distinzione tra il momento dell'invasione di un edificio e quello della permanenza non consentita all'interno degli spazi stabilendo che non è possibile assimilare la seconda alla prima in quanto “ quando il legislatore ha voluto caratterizzare come fatto penalmente rilevante la permanenza arbitraria all'interno di un luogo, lo ha fatto con una previsione espressa, inversamente si incorrerebbe nella vietata analogia in malam partem ”.
Pregevole appare anche la ricostruzione dell'alterità del bene invaso in relazione agli edifici scolastici. La Corte regolatrice sottolinea che ai sensi del D.P.R. 21.5.74 n. 416 la scuola costituisce una realtà non estranea agli studenti che contribuiscono e concorrono alla sua formazione e al suo mantenimento con un potere-dovere di collaborare alla protezione e alla conservazione della stessa per cui non sembra configurabile un loro limitato diritto d'accesso nelle sole ore in cui è prevista l'attività didattica in senso stretto.
In tale disposto la Corte regolatrice stabilisce che nel reato di cui al 633 c.p. il termine invasione va interpretato come “una qualunque intromissione dall'esterno con modalità violente “
Altra pronuncia di legittimità soccorre nella ricostruzione dei contorni del reato in esame stabilendo che: “Il reato in questione costituisce una delle ipotesi di illiceità speciale: il fatto oggettivo dell'arbitrarietà del comportamento, essendo elemento costitutivo di fattispecie, deve riversarsi nell'elemento soggettivo del reato e costituire oggetto di rappresentazione e volizione da parte del soggetto agente,con la conseguenza che qualora il soggetto agente cada in errore sull'effettiva portata di una norma extrapenale, ritenendo legittimo il proprio comportamento, deve essere esente da responsabilità per mancanza di dolo ex art. 47 III comma c.p. Dal momento che non si è rappresentato un elemento positivo della fattispecie”( così Cass. Sez. II, 17.5.1988, Oliva).
Tali statuizioni portano a concludere che l'esistenza per gli studenti di un diritto di critica fondato sulla loro libertà di espressione, pensiero e associazione all'interno della scuola fondano per gli studenti l'esercizio di un diritto che non verrebbe solo supposto dagli stessi ma che fonderebbe un'oggettiva causa di giustificazione.
Sulla interruzione di pubblico servizio
Diversa è la fattispecie di cui all'art. 340 c.p. che, laddove non vi sia un complessivo assenso ed una partecipazione alle iniziative di protesta da parte degli insegnanti, dei presidi, del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola (ATA) potrebbe integrarsi nel caso in cui gli studenti impedissero deliberatamente il regolare svolgimento delle lezioni.
A tale fine si indica la giurisprudenza più signifivcativa.
“Se la c.d. "occupazione" della scuola da parte degli studenti avviene senza modalità invasive, e cioè consentendo lo svolgersi delle lezioni e l'accesso degli addetti, non è configurabile il reato di interruzione di pubblico servizio , neanche se l'attività didattica si svolge con difficoltà ed in mezzo a confusione. Tribunale Siena, 29 ottobre 2001”.
“L'occupazione temporanea di una scuola, sebbene per motivi sindacali, integra gli estremi della fattispecie di cui all'art. 340 c.p. quando le modalità di condotta, volte ad alterare il normale svolgimento del servizio scolastico, esorbitano dal legittimo esercizio dei diritti di cui agli artt. 17 e 21 Cost., ledendo altri interessi costituzionalmente garantiti.” Cassazione penale , 03 luglio 2007 , n. 35178.
Retelegale.net Bologna
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sabato 13 febbraio 2010
In attesa dell'ennesima proroga dell'esecuzione degli sfratti il dramma dei senza casa si fa di giorno in giorno più grave . Ormai la situazione è tale da sollecitare iniziative urgenti ed emergenziali. La situazione è nota: centinaia di migliaia di persone non possono più permettersi di pagare affitti e mutui e vengono cacciate mentre altrettanti alloggi rimangono vuoti. Il mercato immobiliare ha trovato un suo equilibrio a danno dei redditi bassi, che aumentano sempre di più a causa della crisi. Se così non fosse gli alloggi sfitti sarebbero molti meno.
Questo dramma non trova soluzione, come sarebbe auspicabile e prevedibile, nell'edilizia pubblica: non si costruiscono abbastanza case popolari e si abbandona sovente al degrado il patrimonio esistente, sicuramente per mancanza di fondi ma anche per una evidente volontà politica asservita al libero mercato.
Da più parti s'invocano quindi provvedimenti drastici, quanto meno per sopperire alla situazione contingente per poi passare ad una diversa gestione del bisogno abitativo. Nell'inerzia del legislatore è l'autorità amministrativa a doversi far carico della responsabilità, anche con scelte coraggiose, che però sono rarissime.
In questo senso lo strumento legale più efficace è certamente la requisizione degli immobili vuoti o inutilizzati, siano essi privati o pubblici.
La normativa in proposito e l'elaborazione giurisprudenziale recente non autorizzano però ad eccessivo ottimismo, ancorate come sono al concetto di “grave necessità pubblica” che in Italia corrisponde da sempre a “catastrofe naturale”, ovverosia terremoti, alluvioni e altri disastri.
In realtà il dato normativo di riferimento, l'art. 7, L. n. 2248/1865, all. E (non è un errore, è proprio una legge del 1865!), dispone che “allorchè per grave necessità pubblica l'Autorità amministrativa debba senza indugio disporre della proprietà privata...essa provvederà con decreto motivato, sempre però senza pregiudizio dei diritti delle parti”. Trattasi quindi di norma “in bianco” ad amplissima discrezionalità.
Chiaramente la disposizione, emanata ben prima della Costituzione, ha dovuto subire non pochi interventi di interpretazione e di aggiornamento da parte della giurisprudenza per essere adattata in particolare all'art. 42 della Carta del 1948, ove si afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti e che può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.
La competenza a requisire è pacificamente in capo al Prefetto e solo in caso di inerzia di questi può essere esercitata dal Sindaco.
In particolare è stato poi affermato che il potere di ordinanza ex art. 7, L. n. 2248/ 1865, all. E debba altresì rispettare, per quanto riguarda l'esercizio da parte del Sindaco, i requisiti previsti dall'art. 54 T.U.E.L. (art. 38, comma 2, L. n. 142/ 90) che al comma 4 dispone che “ Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità' pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
La preventiva comunicazione al Prefetto farebbe peraltro propendere per un potere (dovere) esclusivo del Sindaco e semmai concorrente con quello del Prefetto.
E' quindi evidente che il problema che si pone è quello di poter inquadrare l'emergenza sfratti nella fattispecie prevista dal combinato disposto delle due norme e che richiede la ricorrenza di una grave necessità pubblica da prevenire o eliminare qualora minacci l'incolumità e la sicurezza urbana.
Sia i TAR che la Cassazione Penale hanno sostenuto che le esigenze abitative di nuclei familiari colpiti da sfratto non può ritenersi né eccezionale né tanto meno imprevedibile essendo invece la regola in ogni contesto urbano a differenza ad esempio di un crollo (vedasi TAR Roma 3534/04; TAR Catania 1154/ 04; Cass. Pen., n. 38259/ 07).
La prospettazione non convince, essendo fondata com'è solo sull'id quod plerumque accidit, di per sé inidoneo a descrivere i limiti di un potere statale. Paradossalmente poi lo strumento della requisizione, postulando l'esistenza di una situazione di urgenza o di emergenza non diversamente risolvibile, potrebbe legittimare condotte generalizzate di occupazione illecita o di morosità colpevole tali da creare i presupposti di un pericolo persino per l'ordine pubblico in caso di sgomberi e imporre quindi, sotto ricatto, l'adozione del provvedimento di requisizione.
E' quindi necessario ancorare lo strumento ad una lettura più coerente al precetto costituzionale che soprattutto tenga conto, come pare inevitabile per dare corretta applicazione alla regola della funzione sociale della proprietà privata, delle condizioni del mercato, dello stato dell'economia nazionale ed internazionale, del costo della vita, individuando così quelle condizioni di urgenza non diversamente risolvibili se non con la (temporanea e salvo indennizzo) compressione della proprietà privata.
Alessio Ariotto, Retelegale Torino
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martedì 9 febbraio 2010
Il nuovo procedimento disciplinare nella Pubblica Amministrazione e nella Scuola.
Nella Gazzetta Ufficiale n° 254 del 31 ottobre 2009 serie generale è stato pubblicato il DLGS n° 150 del 27 ottobre 2009 ( la c.d Riforma Brunetta) che avrebbe lo scopo di parificare il sistema di gestione del rapporto di lavoro pubblico a quello privato. Ed in particolare introduce il criterio della meritocrazia. Quello di cui mi occuperò in sintesi sarà di esplicare il nuovo sistema sanzionatorio , che dal 15 novembre 2009 è in vigore, nell'ambito del comparto scuola.
Prima di entrare nel merito della c.d Riforma Brunetta è necessario ricordare alcuni principi.
La libertà di insegnamento
"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento" art. 33 della Costituzione. L' articolo 13 della Carta Europea dei Diritti dell'uomo prevede che le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata. Il Testo unico della Scuola prevede che "... ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa ... come libera espressione culturale del docente. L'esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni" ."Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca" ("Gestione delle risorse umane" art. 7 DLgs 165/2001). Su tale questione non sono possibili mediazioni, perchè la libertà di insegnamento, quella reale, garantita dall'art. 33 della Costituzione, è in tutta evidenza di natura individuale: il titolare della libertà è il singolo docente il quale, in piena autonomia, proprio perché libero, decide le modalità E’ evidente che, nei testi citati, la libertà di insegnamento corrisponde all’ autonomia del singolo docente, che nelle sue scelte e nei suoi indirizzi didattici raccorda la libertà del suo pensiero e della cultura che professa alle “ norme generali sull’istruzione ” .L'articolo 395 del dlgs.297 del 1994 prevede che la funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità. I docenti delle scuole di ogni ordine e grado, oltre a svolgere il loro normale orario di insegnamento,espletano le altre attività connesse con la funzione docente, tenuto conto dei rapporti inerenti alla natura dell’attività didattica e della partecipazione al governo della comunità scolastica.
Il ruolo rivestito dai docenti è di grande responsabilità sociale , perchè contribuire alla formazione e alla "educazione" dell'individuo è un qualcosa di determinante per la formazione della coscienza critica e sociale della persona. E' del tutto evidente che creare un sistema di norme e di burocratizzazione , come quello posto in essere dalla c.d. riforma Brunetta, ha il mero scopo di inibire tale libertà di insegnamento e di limitarne la piena esplicazione.
Tale Riforma, se così la si può definire, è pessima per varie ragioni, sia perchè introduce ex lege il principio della meritocrazia , sia perchè è stata forgiata con un fretta tale da rendere difficile la interpretazione delle norme da applicarsi in particolare per il personale docente in tema di sanzioni disciplinari. Ma l'elemento che dovrà fare riflettere tutti è che si è consolidato il principio della non differenziazione tra il soggetto accusatore e giudicante ovvero l'amministrazione Pubblica accusa il suo personale e la stessa Amministrazione provvede a giudicarlo. Ciò è quello che di norma si verifica da decenni nel settore privato del lavoro , ed è un ulteriore ravvicinamento del lavoro "pubblico" al lavoro "privato". Ma la cosa più preoccupante è data dal fatto che il vero datore di lavoro non è più lo Stato ma chi usufruisce del servizio scolastico ovvero gli studenti ed i genitori. Questo principio non è scritto espressamente ma lo si ricava da vari elementi che mineranno sempre di più la libertà di insegnamento come sopra esplicata.
La Riforma Brunetta
Il Titolo IV Nuove norme generali sull' ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche al capo V, tratta la questione inerente le sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici. In particolare l'articolo 69 del detto decreto legislativo introduce l'articolo 55 bis e seguenti al dlgs 165 del 2001 che è una sorta di Testo unico per i dipendenti della Pubblica Amministrazione in tema di disciplina del rapporto di lavoro.
Per quanto concerne la Scuola occorre specificare che vengono abrogati gli articoli dal 502 al 507 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 ( Testo Unico Scuola); PARTE III - PERSONALE TITOLO I - PERSONALE DOCENTE, EDUCATIVO, DIRETTIVO E ISPETTIVO CAPO IV - Disciplina Sezione I - Sanzioni disciplinari. Per il personale docente, grazie al rinvio ( ancora operativo per tale parte normativa) della legge al contratto in essere, (le cui disposizioni possono considerarsi sopravvissute) si considerano ancora vigenti gli artt. da 492 a 501 del D.Lgs 297/94, per le altre sanzioni previste dal presente decreto quale la sospensione dal servizio e dalla retribuzione sino a dieci giorni lo stesso dlgs è applicabile tramite interpretazione che si ricava dal dettato normativo in essere, invece non è applicabile la sanzione del richiamo verbale poichè per il personale docente tale fattispecie non è prevista.
Discorso diverso per il personale ATA poichè le sanzioni considerate sono in linea di massima già disciplinate dagli artt.92 e 93 , 95del ccnl comparto scuola vigente.
Occorre precisare, come esplicato dalla Circolare numero 9 del Ministero Pubblica Funzione che la nuova disciplina procedurale si applica a tutti i fatti disciplinarmente rilevanti per i quali gli organi dell'Amministrazione ai quali è demandata la competenza a promuovere l'azione disciplinare acquisiscono la notizia dell'infrazione dopo il 16 novembre 2009.
Ciò che voglio evidenziare prima di dare seguito alla nuova disciplina in tema di procedimento disciplinare è il seguente articolo del DLGS n° 150 del 27 ottobre 2009, articolo 55 sexies comma 3( come aggiunto all' articolo 55 del dgl 165 del 2001) : Il mancato esercizio o la decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravita' dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresi' la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo. A ciò si deve aggiungere anche la decurtazione della retribuzione c.d. di risultato, sempre del Dirigente che "non vigila" o non sanzioni i suoi dipendenti... Quindi il Dirigente che non ponga in essere un comportamento "collaborativo " con l'Amministrazione di appartenenza od ometta l'avvio di un procedimento disciplinare rischia delle gravi ricadute...detto in parole povere è una forma di scriminante per incrementare l'accanimento e la persecuzione nei confronti del personale scolastico.
Si deve evidenziare che il nuovo sistema sanzionatorio tramite una lettura incrociata tra l'articolo 1339 del cc e 1419 cc secondo comma è un sistema c.d. imperativo ovvero è inserito di diritto all'interno delle fattispecie ivi previste dal ccnl comparto scuola e quindi inderogabili da parte dello stesso ccnl applicato.
Premesso ciò, entriamo nello specifico dell'articolo 69 del dlgs.150 del 2009 ove si evidenzia quanto segue:
Per le infrazioni di minore gravita', per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per piu' di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2. Ovvero Il responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, anche in posizione di comando o di fuori ruolo, quando ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari di cui al comma 1( sanzioni che vanno dal rimprovero verbale ma inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni), primo periodo, senza indugio e comunque non oltre venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente medesimo e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di almeno dieci giorni. Entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, puo' inviare una memoria scritta o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine per l'esercizio della sua difesa. Dopo l'espletamento dell'eventuale ulteriore attivita' istruttoria, il responsabile della struttura conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro sessanta giorni dalla contestazione dell'addebito. In caso di differimento superiore a dieci giorni del termine a difesa, per impedimento del dipendente, il termine per la conclusione del procedimento e' prorogato in misura corrispondente.
Il differimento puo' essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento. La violazione dei termini stabiliti nel presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa. L'elemento particolare è dato dal fatto che per i docenti non è prevista la sanzione del richiamo verbale, al contrario dei dipendenti ATA .
Quindi, detto brevemente, le principali novità, declinate per il personale docente e ATA delle scuole sono:( nota dell' Ufficio Scolastico Regionale dell'Umbria n° di protocollo AOODRUM 6927/C2 - Direzione Generale- del 3 dicembre 2009 che si reputa condivisibile)
- competenza del dirigente scolastico: per sanzioni che vanno dal rimprovero verbale( solo per personale ATA rimprovero verbale , per i docenti la sanzione minima è il richiamo scritto) alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a 10 giorni.
- competenza dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari", che, come prevede la norma, ciascuna Amministrazione dovrà individuare, per i casi di maggiore gravità. ( al momento , dal mio punto di vista, tale competenza salvo diversa indicazione è dell'ufficio contenzioso dell'USR di appartenenza salvo delega espressa e formale a favore dell'USP sempre di appartenenza)
Fasi Procedimentali
Circa le "fasi" del procedimento disciplinare (cfr i primi due commi del nuovo art. 55bis del D.Lgs. n. 165/2001) si riassumono in modo sintetico, limitatamente alle infrazioni punibili dal dirigente scolastico, le principali innovazioni:
* dal momento della "notizia" del comportamento punibile, il dirigente scolastico, entro il termine tassativo di 20 giorni, contesta per iscritto l'addebito al dipendente e lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno 10 giorni; nel contraddittorio il dipendente può farsi assistere da un legale o da un sindacalista;
* entro il termine fissato, il dipendente convocato, se non intende presentarsi, può inviare una memoria scritta, oppure, in caso di grave ed oggettivo impedimento, formulare motivata istanza di rinvio del termine;
* il procedimento deve concludersi entro 60 giorni dalla contestazione dell'addebito, con l'archiviazione o con l'irrogazione della sanzione; - se il rinvio chiesto dal dipendente, qualora accordato sussistendone i motivi, è superiore a 10 giorni, il termine per la conclusione del procedimento è prolungato in misura corrispondente; il differimento del termine può essere disposto per una sola volta nel corso del procedimento;
* la violazione dei termini stabiliti comporta, la decadenza dall'azione disciplinare, con responsabilità disciplinare del dirigente se questi abbia commesso omissioni o ritardi; per il dipendente, comporta la decadenza dall'esercizio del diritto di difesa;
* per sanzioni superiori a quelle irrogabili dal dirigente scolastico provvede l’USP dell’ambito territoriale di riferimento, mediante le identiche procedure.
Non sono più previsti, per il personale docente i pareri obbligatori degli organi collegiali che caratterizzavano la precedente modalità procedurale; mentre per il personale ATA vi è una sostanziale conferma, fatta eccezione dei termini che risultano abbreviati.
Quando il responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni piu' gravi di quelle indicate nel primo periodo( sanzioni che prevedono come minimo la sospensione dal servizio e più di dieci giorni di decurtazione della retribuzione), il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma 4. Il comma 4 sul punto prevede testualmente che ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari; il predetto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2( ovvero contestare per iscritto l'addebito entro 20 giorni da quando si ha notizia di comportamenti sanzionabili, ed entro 60 giorni deve concludersi il procedimento salvo proroga non inferiore al tempo del differimento per impedimento del dipendente a formulare le proprie difese ), se la sanzione da applicare e' piu' grave della sospensione dal servizio con decurtazione di almeno giorni 10 della retribuzione,con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55-ter( che verrà trattato successivamente). Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa. Quindi si deduce che alle infrazioni per le quali e' previsto il rimprovero verbale(solo per il personale ATA ) si applica la disciplina stabilita dal contratto collettivo ovvero articolo 93 primo comma CCNL del 2007)
Per quanto riguarda invece la questione della reggenza dell'Istituto Scolastico da parte di soggetto incaricato che non abbia qualifica dirigenziale si desume che: nei confronti del personale ATA può essere irrogata la sanzione del rimprovero verbale, le altre sanzioni invece devono essere irrogate dall'ufficio competente dell'USP o dell'USR; nei confronti del personale docente invece l'incaricato non avente qualifica dirigenziale non può irrogare alcuna sanzione rilevato che il richiamo verbale non è previsto per il personale docente. Quindi, in tale caso le sanzioni, a partire dal richiamo scritto devono essere applicate da parte dell'ufficio competente dell'USP o dell'USR.
Occorre rilevare che il responsabile della struttura, se non ha qualifica dirigenziale ovvero se la sanzione da applicare e' piu' grave di quelle della sospensione con decurtazione di 10 giorni della retribuzione, trasmette gli atti, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, all'ufficio individuato ut supra dandone contestuale comunicazione all'interessato.
Competenza (nota dell' Ufficio Scolastico Regionale dell'Umbria n° di protocollo AOODRUM 6927/C2 - Direzione Generale- del 3 dicembre 2009 che si reputa condivisibile)
I criteri per definire la gravità della sanzione (e quindi la competenza ad irrogare la sanzione) non presentano particolari difficoltà. Infatti, per le infrazioni disciplinari e sanzioni previste dal contratto per il personale ATA è di facile lettura la fattispecie di cui all’art 93 del CCNL che, nelle sanzioni previste dalla lettere a) , b), c), d) determina la competenza del dirigente scolastico, mentre nelle sanzioni previste dalle lettere e) ed f) determina la competenza dell’USP.
Per il personale docente, grazie al rinvio ( ancora operativo per tale parte normativa) della legge al contratto in essere, (le cui disposizioni possono considerarsi sopravvissute) si considerano ancora vigenti gli artt. da 492 a 501 del D.Lgs 297/94. Tali articoli non prevedono la differenza " fino a 10 giorni e superiori a 10 giorni, (come per il personale ATA) perché l’art 494 prevede genericamente la " sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino ad un mese". In questo caso si consigliano le SS.LL. di predeterminare la tipologia della sanzione (se superiore o inferiore a 10 gg - in relazione alla gravità del comportamento) e trattare di conseguenza il procedimento, direttamente o rimetterlo al competente USP.
Comunicazione procedimento disciplinare
Il comma 5 del presente articolo prevede che ogni comunicazione al dipendente, nell'ambito del procedimento disciplinare, e' effettuata tramite posta elettronica certificata, nel caso in cui il dipendente dispone di idonea casella di posta, ovvero tramite consegna a mano. Per le comunicazioni successive alla contestazione dell'addebito, il dipendente puo' indicare, altresi', un numero di fax, di cui egli o il suo procuratore abbia la disponibilita'. In alternativa all'uso della posta elettronica certificata o del fax ed altresi' della consegna a mano, le comunicazioni sono effettuate tramite raccomandata postale con ricevuta di ritorno. Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori del procedimento. E' esclusa l'applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti nel presente articolo.
Istruttoria
Nel comma 6 si evince in particolare che nel corso dell'istruttoria, il capo della struttura o l'ufficio per i procedimenti disciplinari possono acquisire da altre amministrazioni pubbliche informazioni o documenti rilevanti per la definizione del procedimento. La predetta attivita' istruttoria non determina la sospensione del procedimento, ne' il differimento dei relativi termini Il termine per la contestazione dell'addebito decorre dalla data di ricezione degli atti trasmessi ai sensi del comma 3 ovvero dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia dell'infrazione, mentre la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa.
Nel comma 7 si legge che il lavoratore dipendente o il dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell'incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'autorita' disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti, e' soggetto all'applicazione, da parte dell'amministrazione di appartenenza, della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, commisurata alla gravita' dell'illecito contestato al dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni.
Trasferimento dipendente , dimissioni dipendente e procedimento disciplinare
Nel comma 8 che si rileva che in caso di trasferimento del dipendente, a qualunque titolo, in un'altra amministrazione pubblica, il procedimento disciplinare e' avviato o concluso o la sanzione e' applicata presso quest'ultima. In tali casi i termini per la contestazione dell'addebito o per la conclusione del procedimento, se ancora pendenti, sono interrotti e riprendono a decorrere alla data del trasferimento. Il comma 9, rileva che in caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa e' prevista la sanzione del licenziamento o se comunque e' stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
In caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa e' prevista la sanzione del licenziamento o se comunque e' stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso secondo le disposizioni del presente articolo e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Procedimento disciplinare e penale
L'articolo 69 introduce anche l'articolo 55 ter all'articolo 55 del dlgs 165 del 2001. Tale articolo disciplina i rapporti fra il procedimento disciplinare ed il procedimento penale.
1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorita' giudiziaria, e' proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni di minore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1 ( infrazioni per le quali e' prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per piu' di dieci giorni), non e' ammessa la sospensione del procedimento.
Per le infrazioni di maggiore gravita', di cui all'articolo 55-bis, comma 1 ( sanzioni superiori alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni), l'ufficio competente, nei casi di particolare complessita' dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all'esito dell'istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, puo' sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, salva la possibilita' di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.
2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l'irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l'autorita' competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall'irrevocabilita' della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l'atto conclusivo in relazione all'esito del giudizio penale. Quindi in tale caso l'amministrazione non si attiva di ufficio ma solo tramite istanza di parte.
3. Invece , Se il procedimento disciplinare si conclude con l'archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l'autorita' competente riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale.
Il procedimento disciplinare e' riaperto, altresi', se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e' stata applicata una diversa.
4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare e', rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell'istanza di riapertura ed e' concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell'addebito da parte dell'autorita' disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell'articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l'autorita' procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell'articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale. 1 bis. Tale articolo del codice di procedura penale riguarda la efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare.
1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non lo ha commesso.
1-bis. La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
Licenziamento
L'articolo 55 quater invece tratta la questione del licenziamento disciplinare.
Si ricorda che il solo organo competente ad irrogare il licenziamento è l'ufficio contenzioso o dell'USR o dell'USP solo se delegato espressamente e formalmente da parte dell'USR. Il Dirigente Scolastico non è competente per attuare il licenziamento.
Art. 55-quater (Licenziamento disciplinare). - 1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:
a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;
b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per piu' di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;
c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;
d) falsita' documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignita' personale altrui;
f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale e' prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.
2. Il licenziamento in sede disciplinare e' disposto, altresi', nel caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54.( codici che di norma dovrebbero essere consegnati al lavoratore al momento dell'assunzione, ma si reputa idonea anche la mera pubblicazione nel sito internet del Ministero della Istruzione, dell'Usp o USR di appartenenza)
3. Nei casi di cui al comma 1, lettere a), d), e) ed f), il licenziamento e' senza preavviso.
Per quanto concerne il licenziamento connesso al caso di prestazione lavorativa, riferibile ad un arco temporale non inferiore al biennio, per la quale l'amministrazione di appartenenza formula, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, una valutazione di insufficiente rendimento e questo e' dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa è importante sottolineare che l'articolo 74 del dlgs 150 del 2009 prevede che la costituzione dell' organismo indipendente di valutazione della performance resta comunque esclusa nell'ambito del sistema scolastico e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale. Quindi, ad oggi tale fattispecie di licenziamento risulterebbe difficilmente applicabile....nel sistema scolastico anche perchè contrasterebbe gravemente con l'articolo 33 della Costituzione in tema di libertà di insegnamento...
False attestazioni o certificazioni
Viene introdotto anche l'Art. 55-quinquies che disciplina la questione inerente le False attestazioni o certificazioni. - 1. Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
2. Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
3. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresi', se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati ne' oggettivamente documentati.
Responsabilità disciplinare e condotte pregiudizievoli per l'amministrazione
L'Art. 55-sexies invece riguarda la questione inerente la responsabilita' disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione e limitazione della responsabilita' per l'esercizio dell'azione disciplinare. -
1. La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove gia' non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entita' del risarcimento.
2. Fuori dei casi previsti nel comma 1, il lavoratore, quando cagiona grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, e' collocato in disponibilita', all'esito del procedimento disciplinare che accerta tale responsabilita', e si applicano nei suoi confronti le disposizioni di cui all'articolo 33, comma 8, e all'articolo 34, commi 1, 2, 3 e 4.( norme che disciplinano il rapporto del personale in disponibilità )
3. Il mancato esercizio o la decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravita' dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresi' la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione. Ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale si applica la predetta sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo.
4. La responsabilita' civile eventualmente configurabile a carico del dirigente in relazione a profili di illiceita' nelle determinazioni concernenti lo svolgimento del procedimento disciplinare e' limitata, in conformita' ai principi generali, ai casi di dolo o colpa grave.
Le assenze e procedimenti disciplinari
L'Art. 55-septies riguarda la disciplina inerente i controlli sulle assenze. -
1. Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.
2. In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica e' inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalita' stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, e in particolare dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall'articolo 50, comma 5-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, introdotto dall'articolo 1, comma 810, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dal predetto Istituto e' immediatamente inoltrata, con le medesime modalita', all'amministrazione interessata.
5. L'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilita' del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono stabilite con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.
6. Il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora nonche' il dirigente eventualmente preposto all'amministrazione generale del personale, secondo le rispettive competenze, curano l'osservanza delle disposizioni del presente articolo, in particolare al fine di prevenire o contrastare, nell'interesse della funzionalita' dell'ufficio, le condotte assenteistiche. Si applicano, al riguardo, le disposizioni degli articoli 21 e 55-sexies, comma 3.
Le nuove fasce orarie per malattia:
approda in Gazzetta Ufficiale il decreto che determina le fasce orarie di reperibilità per i pubblici dipendenti in caso di assenza per malattia. Tali fasce sono fissate secondo i seguenti orari: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, compresi i giorni non lavorativi e festivi. Sono esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità i dipendenti per i quali l'assenza è dovuta a patologie gravi che richiedono terapie salvavita, infortuni sul lavoro, malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio, stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta. Sono esclusi inoltre i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato. Il decreto entrerà in vigore il 4 febbraio 2010.
La inidoneità al lavoro
L' Art. 55-octies invece tratta la questione inerente la permanente inidoneita' psicofisica.
- 1. Nel caso di accertata permanente inidoneita' psicofisica al servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 2, comma 2, l'amministrazione puo' risolvere il rapporto di lavoro. Con regolamento da emanarsi, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati, per il personale delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonche' degli enti pubblici non economici:
a) la procedura da adottare per la verifica dell'idoneita' al servizio, anche ad iniziativa dell'Amministrazione;
b) la possibilita' per l'amministrazione, nei casi di pericolo per l'incolumita' del dipendente interessato nonche' per la sicurezza degli altri dipendenti e degli utenti, di adottare provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, in attesa dell'effettuazione della visita di idoneita', nonche' nel caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneita', in assenza di giustificato motivo;
c) gli effetti sul trattamento giuridico ed economico della sospensione di cui alla lettera b), nonche' il contenuto e gli effetti dei provvedimenti definitivi adottati dall'amministrazione in seguito all'effettuazione della visita di idoneita';
d) la possibilita', per l'amministrazione, di risolvere il rapporto di lavoro nel caso di reiterato rifiuto, da parte del dipendente, di sottoporsi alla visita di idoneita'.
Il cartellino di riconoscimento
L'Art. 55-novies tratta della identificazione del personale a contatto con il pubblico. -
1. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche che svolgono attivita' a contatto con il pubblico sono tenuti a rendere conoscibile il proprio nominativo mediante l'uso di cartellini identificativi o di targhe da apporre presso la postazione di lavoro. ( tale norma entra in vigore dalla metà del mese di febbraio del 2010) E' probabile che tale norma troverà applicazione per il personale ATA la vedo difficilmente applicabile per il personale docente.
2. Dall'obbligo di cui al comma 1 e' escluso il personale individuato da ciascuna amministrazione sulla base di categorie determinate, in relazione ai compiti ad esse attribuiti, mediante uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, su proposta del Ministro competente ovvero, in relazione al personale delle amministrazioni pubbliche non statali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o di Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali.».
Impugnazioni
Infine la sanzione disciplinare eventualmente comminata, può essere impugnata con il ricorso al Giudice Ordinario, previo esperimento del tentativo di conciliazione presso la Direzione Provinciale di Lavoro considerata, nonché con le altre modalità. A tale riguardo si sottolinea che la novellata disciplina prevede che " La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari. Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria,fuori dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l’inizio e la conclusione."(nota dell' Ufficio Scolastico Regionale dell'Umbria n° di protocollo AOODRUM 6927/C2 - Direzione Generale- del 3 dicembre 2009)
L'arbitrato è abrogato
Occorre specificare che dalla data di entrata in vigore del presente decreto,ovvero dal 16 novembre 2009, non e' ammessa, a pena di nullita', l'impugnazione di sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina. I procedimenti di impugnazione di sanzioni disciplinari pendenti dinanzi ai predetti collegi alla data di entrata in vigore del presente decreto sono definiti, a pena di nullita' degli atti, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla predetta data.
Effetti di alcune abrogazioni
Abrogazione Art. 503 - Sospensione dall'insegnamento o dall'ufficio e destituzione
L'organo competente provvede con decreto motivato a dichiarare il proscioglimento da ogni addebito o ad infliggere la sanzione acquisito il parere del consiglio di disciplina del consiglio scolastico provinciale o del consiglio di disciplina del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, a seconda che trattasi di personale docente della scuola materna, elementare e media, ovvero, di personale docente degli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore e di personale appartenente a ruoli nazionali, nel rispetto del principio costituzionale della libertà di insegnamento. Il predetto parere è reso nel termine dei sessanta giorni successivi al ricevimento della richiesta, prorogabile di trenta giorni per l'effettuazione di ulteriori e specifici adempimenti istruttori che si rendano necessari. Decorso inutilmente tale termine, l'amministrazione può procedere all'adozione del provvedimento.
Con l'abrogazione di tale articolo viene meno una forma di garanzia procedimentale a tutela della classe docente rappresentata dalla formulazione del parere obbligatorio del Consiglio di Disciplina in caso di procedimento avente ad oggetto la sospensione dall'insegnamento o dall'ufficio e destituzione. Gli effetti ? Già da qualche tempo si tende a constestare la metodologia di insegnamento del docente, il contenuto delle "lezioni" ovvero tutto ciò che è garantito dalla Costituzione articolo 33 in particolar modo. Con l'abrogazione di tale articolo il docente non dovrà stupirsi se vedrà incrementate le constestazioni che intaccano la libertà di insegnamento,( dato che verrà meno un importante strumento di controllo) poichè questa libertà deve essere sacrificata nel nome della privatizzazione del pubblico impiego, e soprattutto per impedire che possano formarsi libere menti pensanti...e critiche verso il SISTEMA!
Abrogazione Art. 505 - Provvedimenti di riabilitazione
1. Il provvedimento di riabilitazione di cui all'articolo 501 è adottato:
a) con decreto del provveditore agli studi, sentito il competente consiglio di disciplina del consiglio scolastico provinciale, per il personale della scuola materna, elementare e media o sentito il consiglio di disciplina del consiglio nazionale della pubblica istruzione per il personale degli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore;
b) con decreto del direttore generale o del capo del servizio centrale, sentito il competente consiglio di disciplina del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, se trattasi del personale appartenente a ruoli nazionali.
L'abrogazione di tale articolo credo sia un mero errore materiale. Altrimenti non avrebbe senso tenere in piedi la struttura dell'articolo 501 che riguarda la riabilitazione, quindi implicitamente non credo possa essere intaccato il sistema della recidiva. Ritengo che l'organo competente a cui debba essere inoltrata la istanza di riabilitazione sia lo stesso che ha emanato la sanzione disciplinare.
Abrogazione Art. 506 - Sospensione cautelare e sospensione per effetto di condanna penale
1. Al personale di cui al presente titolo si applica quanto disposto dagli articoli dal 91 al 99 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
2. I provvedimenti di sospensione cautelare obbligatoria sono disposti dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale.
3. La sospensione cautelare facoltativa è disposta, in ogni caso, dal Ministero della pubblica istruzione.
4. Se ricorrano ragioni di particolare urgenza, la sospensione cautelare può essere disposta, nei confronti del personale docente, dal dirigente scolastico, salvo convalida da parte del dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale cui il provvedimento deve essere immediatamente comunicato, e, nei confronti dei dirigenti scolastici, dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale. In mancanza di convalida da parte del dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale, entro il termine di dieci giorni dalla relativa adozione, della sospensione cautelare disposta nei confronti del personale docente, il provvedimento di sospensione è revocato di diritto. Analogamente, in mancanza di conferma da parte dello stesso dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale, entro il medesimo termine di cui al secondo periodo, della sospensione cautelare disposta nei confronti dei dirigenti scolastici, il provvedimento è revocato di diritto.
5. La sospensione è disposta immediatamente d'ufficio nei casi di cui all'art. 1, comma 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16. La sospensione così disposta cessa quando nei confronti dell'interessato venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorchè con rinvio. L'organo competente a provvedere al riguardo è determinato ai sensi del comma 2. (articolo così modificato dall'art. 2, della Legge 176/07)
L'abrogazione di tale articolo provoca una strana situazione. Ovvero, non potrà essere disposta la sospensione ivi prevista nel caso si verifichino situazioni che vedono il soggetto interessato coinvolto in fattispecie criminose come associazione di tipo mafioso, concussione, corruzione, peculato ecc. E' anche questa una svista?
dott. Marco Barone
del Foro di Bologna
marcusbarone@yahoo.it
http://baronemarco.blogspot.com/
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Bologna febbraio 2010
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mercoledì 3 febbraio 2010
La sentenza che riporto di seguito risulta particolarmente significativa con riguardo alle molte cause pendenti in vari tribunali e Corti di Appello Italiani aventi ad oggetto il riconoscimento da parte dei lavoratori della scuola del diritto alla corresponsione dell'Indennità di Vacanza Contrattuale. La Corte sancisce l'automatismo di tale dirittoallo spirare dei termini indicati nel contratto a prescindere dalla stipula di un successivo accordo in materia.
Marco Guercio
"L'art. 2 comma 6 c.c.n.l. del comparto del personale delle regioni-autonomie locali, sottoscritto dall'Aran il 6 luglio 1995, secondo cui "Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a tre mesi dalla data di scadenza della parte economica del presente contratto, o a tre mesi dalla data di presentazione delle piattaforme, se successiva, ai dipendenti del comparto sarà corrisposta la relativa indennità, secondo le scadenze previste dall'accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993. Per l'erogazione di detta indennità si applica la procedura del d.lg. n. 29 del 1993, art. 52, commi 1 e 2", deve essere interpretato nel senso che il diritto dei dipendenti del comparto alla corresponsione dell'indennità di vacanza contrattuale sorge autonomamente allo spirare dei termini indicati dalla norma contrattuale, senza necessità di stipulazione di un successivo specifico contratto." Cassazione Civile, sez Lavoro, 27 luglio 2009, n. 17429
Marco Guercio
"L'art. 2 comma 6 c.c.n.l. del comparto del personale delle regioni-autonomie locali, sottoscritto dall'Aran il 6 luglio 1995, secondo cui "Dopo un periodo di vacanza contrattuale pari a tre mesi dalla data di scadenza della parte economica del presente contratto, o a tre mesi dalla data di presentazione delle piattaforme, se successiva, ai dipendenti del comparto sarà corrisposta la relativa indennità, secondo le scadenze previste dall'accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993. Per l'erogazione di detta indennità si applica la procedura del d.lg. n. 29 del 1993, art. 52, commi 1 e 2", deve essere interpretato nel senso che il diritto dei dipendenti del comparto alla corresponsione dell'indennità di vacanza contrattuale sorge autonomamente allo spirare dei termini indicati dalla norma contrattuale, senza necessità di stipulazione di un successivo specifico contratto." Cassazione Civile, sez Lavoro, 27 luglio 2009, n. 17429
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lunedì 1 febbraio 2010
Nei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, per le problematiche sociali che riveste la materia, particolare attenzione deve essere data a coloro che subiscono la perdita totale o parziale dei propri beni. Il testo unico espropri si è caratterizzato per le numerose norme al suo interno che riguardano la fondamentale partecipazione degli espropriandi al procedimento. In tal modo viene a concretizzarsi uno dei principi cardine che deve sorreggere l'azione della PA, ossia la trasparenza amministrativa ed inoltre la corretta gestione della procedura ha anche un evidente scopo deflattivo del contenzioso. La sentenza Tar Lazio n. 41 del 5 gennaio 2010, riafferma il sacrosanto principio che in tema di espropriazione, al privato proprietario di un'area interessata dalla realizzazione di un'opera pubblica, deve essere garantita la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento.
Nella fattispecie sottoposta al Tribunale Amministrativo i ricorrenti hanno lamentato la violazione delle garanzie di informazione e di partecipazione al procedimento, non essendo stato loro consentito di interloquire tempestivamente con le amministrazioni procedenti, in ordine all'approvazione del progetto incidente sui beni di proprietà ed alla modulazione dello stesso.
In proposito il Tar richiama un chiaro e consolidato indirizzo giurisprudenziale (C. Stato, A. P. 20 dicembre 2002, n. 8; 24 gennaio 2000, n. 2; 15 settembre 1999, n. 14), dal quale ritiene di non discostarsi, che afferma il principio, generale ed inderogabile, per cui al privato proprietario di un'area destinata all'espropriazione, siccome interessata dalla realizzazione di un'opera pubblica, deve essere garantita, mediante la formale comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, la possibilità di interloquire con l'amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull'apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e, quindi, dell'approvazione del progetto definitivo, essendo preciso onere della amministrazione comunicare agli interessati l'avvio del procedimento sin dalla fase procedimentale preordinata alla dichiarazione di pubblica utilità, per mezzo della quale i beni dei privati sono immediatamente sottoposti ad una precisa qualità giuridica di subordinazione alla realizzazione di un'opera pubblica ed al conseguente regime di espropriabilità.
E’ stato anche precisato che, in tema di provvedimenti ablatori, l'obbligo di avviso di avvio del procedimento ex art. 7, l. 241/1990 non costituisce un adempimento formalistico, essendo finalizzato invece alla realizzazione del principio sostanziale della partecipazione procedimentale, diretto a consentire al privato di avere conoscenza del provvedimento in itinere ed, eventualmente, di interloquire con l’amministrazione introducendo nella dinamica procedimentale l’apprezzamento degli interessi di cui è portatore, per consentirne la comparazione con gli altri interessi coinvolti, pubblici e privati.
Ne deriva che il mancato avviso personale imposto dall'art. 7 l. 241/1990, non superato dalla prova di conoscenza aliunde o dalla effettiva partecipazione al procedimento autonomo prodromico alla declaratoria di pubblica utilità di un'opera, rende illegittimo il provvedimento conclusivo dello stesso (C. Stato, IV, 24.2.2000, n. 1016).
Nella specie, risulta pacifico dal fascicolo di causa che il Comune di Roma non ha informato i ricorrenti dell'esistenza del procedimento espropriativo connesso al primo atto deliberativo del procedimento.
Né può applicarsi l'art. 21 octies della l. 241/90, il quale dispone che non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento e sulla forma degli atti qualora, per la sua natura vincolata, il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, atteso che va esclusa la natura vincolata degli atti non partecipati, di carattere discrezionale, e che la resistente amministrazione non ha dimostrato che il tenore degli atti impugnati non sarebbe mutato in caso di regolare comunicazione dell'avvio del procedimento.
Detta omissione comporta quindi la illegittimità del procedimento espropriativo.
Il rilevato vizio, di valenza assorbente ogni altra censura pure formulata, si estende a tutti gli atti intervenuti nell’espropriazione di cui trattasi, ivi compreso il pronunziato esproprio, fatto oggetto di impugnazione per illegittimità derivata a mezzo di motivi aggiunti.
Per tutto quanto sopra, detto il Tar ha accolto conseguentemente il ricorso disponendo l’annullamento degli atti impugnati.
avv. Giuseppe Spanò
Retelegale Parma
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