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giovedì 7 aprile 2011
Le recenti ricerche svolte dall'Istat forniscono importanti informazioni sulla situazione del mondo del lavoro in Italia che è il caso di esaminare. Premesso che i dati rappresentano un quadro negativo nella sua interezza e per entrambi i sessi, tuttavia il dato su disoccupazione e precarietà femminile (nel mese di gennaio 2011 è stata registrata una crescita della disoccupazione femminile di 13 mila unità rispetto a dicembre 2010; in termini percentuali la disoccupazione femminile è del 9,8% contro il 7,8% di quella maschile), necessita di una lettura analitica che deve andare oltre la staticità del dato Istat che deve tener conto non solo di fattori di origine strutturale (crisi economica), ma anche di quelli culturali che perdurano nel tempo.
La cultura cattolica (e la sua influenza nella legislazione), una cultura politica che ha teso e tende a determinare una scarsa agibilità politica e sociale per le donne, una pratica politica (comune anche nei partiti di sinistra) tesa ad appiattire la condizione femminile a compiti tradizionalmente svolti dalle donne, sono elementi che hanno concorso a determinare l'emanazione di un insieme di norme (dalla legge sul lavoro a tempo parziale di derivazione comunitaria alla legge Turco su maternità e congedi parentali), che pur sbandierate come conquiste sociali, nella realtà rappresentano esclusivamente dei palliativi appositamente emanati per propagandare l'effettività dello stato di diritto e dello stato sociale nel quale l'art. 3, comma 2 della Costituzione secondo cui “E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” non è solo una norma positivizzata, ma anche attuata.
Analizzando, infatti, la normativa in subjecta materia è manifesto come sia forte la componente culturale cattolica accompagnata da una cultura occidentale monosoggettiva in cui l'uomo rappresenta sempre il paradigma sociale tipico e da una tendenziale irrisorietà di percorsi di reale liberazione dalla subalternità della donna dall'uomo e come questi fattori abbiano influito ed influiscono sulla carenza di una reale autodeterminazione femminile, intesa nella sua più vera accezione, come capacità sostanziale di scelta delle condizioni di esistenza delle donne.
Possiamo infatti notare, in primis, come la disciplina sul rapporto di lavoro a tempo parziale (D.lgs 61/2000 e modifiche successive operate dal D.lgs 276/03) di derivazione europea, annunciata come una riforma tesa a promuovere “il tempo liberato” delle lavoratrici, in realtà, oltre ad essere uno strumento di risparmio per le imprese, non costituisce per le donne una scelta ma una necessità, soprattutto verso le lavoratrici madri con bassi redditi, costrette ad adottare tale forma di articolazione dell'orario alla luce di mancanza di politiche sociali (asili – scuole pubbliche in primis) idonee e gratuite.
Sempre in tema di lavoro a tempo parziale involontario, rileva anche il recente dato Istat (marzo 2011) secondo il quale la percentuale di giovani donne (fascia 18/29 anni) che hanno un rapporto di lavoro part time è del 31,2% (il triplo rispetto a quella maschile del 10,4%), di cui il 64% involontario, cioè non scelto dalle lavoratrici.
In modo analogo, la Legge Turco (legge 53/2000 attuata dal D.lgs 151/2001) su maternità e congedi parentali: basti pensare alla indennità prevista durante l'astensione facoltativa pari al 30% della retribuzione; appare quantomeno azzardato sostenere che si tratti di uno strumento per rendere autosufficiente la donna, in particolare modo per le posizioni lavorative economicamente più deboli.
E, in linea generale, lo strumento del congedo parentale (astensione facoltativa) si rivela più una costrizione alle quali molte donne si trovano a dovere accedere, data la breve durata del periodo di astensione obbligatoria previsto dalla legge (5 mesi) e la mancanza di servizi sociali.
Queste norme, proclamate con enfasi come strumenti per “aiutare” ed emancipare la donna (perché, in definitiva, impropriamente adottate per colmare lacune non più giustificabili), in realtà, nella sostanza, sono assai blande dal punto di vista retributivo e controproduttive nei confronti di una reale autodeterminazione della donna.
Il dato iniziale sulla disoccupazione femminile, maggiormente intensa rispetto a quella maschile, non riflette, quindi, un'informazione asettica ma rappresenta la reale condizione delle donne con bassi redditi le quali non solo subiscono licenziamenti ma, spesso, debbono ricorrere allo strumento delle dimissioni quale extrema ratio per liberare il tempo ai fini dell'assolvimento dei compiti familiari.
Dulcis in fundo, come conseguenza dei fattori sopra descritti, è interessante anche il dato che si ricava dall'indice di asimmetria del lavoro familiare che misura quanta parte del tempo dedicato da entrambi i partner al lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi, è svolto dalle donne.
Il dato rivela che nel biennio 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare è svolto dalle donne in generale, l'83,2% se la donna non lavora, il 71,4% se la donna è occupata, il 72% se la coppia ha figli. La donna fa tutto: il 90,5%-97,8% in un giorno medio cucina, l'82,7%-94,8% pulisce la casa, sparecchia – apparecchia, rigoverna il 66,3%-76,5%, quasi il 100% lava e stira i panni!
E gli uomini? Fanno una selezione delle attività da svolgere: in un giorno medio della settimana il 41,7% cucina, il 31,4% partecipa alle pulizie della casa, il 29,9% fa la spesa, il 26,6% apparecchia.
E la cura delle piante da chi è svolta? Il 70,3% delle ore dedicate a questa attività è svolto dagli uomini. E pensare che nei test psicoattitudinali predisposti dal Ministero della difesa finalizzati allo svolgimento del servizio militare un approccio di amore nei confronti dei fiori e delle piante era considerato indice di scarsa virilità...
Dott.ssa Valentina Paoli – Consulente del Lavoro. Per Retelegale Livorno.
Link:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/occprov/20110301_00/testointegrale20110301.pdf
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20110308_00/testointegrale20110308.pdf
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20101110_00/testointegrale20101110.pdf
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