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giovedì 22 luglio 2010
Vanno risarciti i danni conseguenti ad una caduta causata da un'autovettura posteggiata su di un marciapiede - Commento alla sentenza del Tribunale di Camerino n. 352/08, del 27 dicembre 2008
La sera dell'Epifania del 2007 il signor XXXXXX posteggiava la propria autovettura su di un marciapiede; la signora XXXXXX, che percorreva quel marciapiede, nel tentare di passare nell'esiguo spazio lasciato ai pedoni, urtava lo specchietto retrovisore, cadeva dal marciapiede e, tentando di attutire la caduta, si procurava la frattura del polso destro. Portata presso il locale pronto soccorso, le veniva diagnosticata una frattura pluriframmentata metaepifisaria del radio destro, con spostamento dei monconi.
Interveniva sul posto la Polizia Municipale e, al proprietario del veicolo, elevava contravvenzione ai sensi dell'art. 158, comma 1°, lett. h), C.d.S..
La signora XXXXXX sporgeva querela nei confronti del proprietario dell'autovettura, che risultava anche essere l'autore dell'infelice parcheggio.
Il susseguente procedimento si svolgeva dinnanzi al Giudice di pace di San Severino Marche.
Nel corso del processo veniva accertato che:
l'auto era stata posteggiata sul marciapiede dall'imputato e lo ostruiva quasi per intero, lasciando solo due piccoli passaggi ai lati (tutti i testi, compresi quelli addotti dalla difesa, nonché le fotografie scattate nell'immediatezza dei fatti e prodotte dalle parti, confermavano la circostanza);
la signora XXXXXX, preceduta da altre due persone, tentava di passare lungo la striscia di marciapiede lasciata libera dalla vettura e posta sul lato prospiciente la strada (tutti i testi concordi);
la strada in questione risultava alquanto transitata ed il tratto in cui avveniva il sinistro risultava piuttosto insidioso in quanto posto sotto curva e, quindi, coperto (tutti i testi risultavano concordi); era, pertanto, troppo pericoloso, scendere dal marciapiede;
nel porre attenzione a dove metteva i piedi, la signora XXXXXX, anziana e con seri problemi di vista, urtava lo specchietto retrovisore destro dell'auto del signor XXXXXX e cadeva dal marciapiede sulla strada, rovinando a terra e procurandosi la frattura sopra descritta, con una malattia di 234 giorni, durante i quali subiva un lungo ricovero ospedaliero e due interventi di osteosintesi (testi concordi, certificazione medica e perizia medico-legale non contestati);
residuavano postumi permanenti invalidanti nella misura dell'8 %.
Il PM concludeva per la condanna dell'imputato alla multa di € 650,00.
La signora XXXXXX, costituitasi parte civile, concludeva chiedendo il ristoro dei danni subiti.
Con la sentenza n. 9/08 del 9 maggio 2008, Giudice di pace di San Severino Marche assolveva il signor XXXXXX dal reato p. e p. dall'art. 590 c.p., “perché il fatto non sussiste”.
Osservava il giudicante, che essendo l'auto “ferma e immobile, addirittura priva di conducente ....... il danno riportato non può essere ascritto alla circolazione stradale”, che non esisteva “...alcun nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dall'imputato”, in quanto “la macchina di questi, anche se parcheggiata fuori dagli appositi spazi, era comunque ferma, ben visibile e non costituiva affatto un pericolo occulto e imprevedibile”; concludeva, pertanto, che “l'evento si è verificato per l'imprudenza della signora XXXXXX”.
La signora XXXXXX proponeva appello ai soli effetti civili, dinnanzi al Tribunale di Camerino. La causa veniva discussa all'udienza del 23 dicembre 2008.
Con sentenza n. 352, del 27 dicembre 2008, in riforma della sentenza impugnata, il Tribunale condannava il signor XXXXXX al risarcimento del danno subito dalla signora XXXXXX, che quantificava in € 16.000,00, ed alla refusione delle spese di costituzione e di assistenza di parte civile per entrambi i gradi di giudizio.
Il giudice di secondo grado formulava questa importante premessa, che vale la pena di riportare per esteso:
“In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del nesso causale materiale tra la condotta dell'agente (attiva od omissiva) e l'evento, ma anche la cosiddetta causalità della colpa, rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Compito del giudice in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi, così, la cosiddetta concretizzazione del rischio.
Peraltro, affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, indica che anche l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento.
Si può, quindi, formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili significative probabilità di scongiurare il danno (v. Cass., Sez. IV, 19512-08, Giuda al Diritto, n. 25, 2008, p. 93)”
Dopo una rapida disamina dei fatti risultanti dall'istruttoria di primo grado, il Giudicante passa all'esame del nesso causale fra la condotta del signor XXXXXX e l'evento lesivo.
Affermato che il nesso causale applicabile al tema della responsabilità extracontrattuale è lo stesso vigente a proposito del reato, identifica nella condotta accertata la condicio sine qua non dell'evento dannoso: “se la vettura fosse stata parcheggiata in modo regolare il fatto non si sarebbe verificato, perché la persona offesa sarebbe potuta passare agevolmente”.
Da ultimo, veniva esclusa l'esistenza di cause sopravvenute che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 41, comma 2° cp, determinano l'interruzione del nesso causale (come sopra identificato) quando sono da sole sufficienti a determinare l'evento in quanto: “...è naturale che una persona non più in giovane età possa passare in modo disagevole in una situazione quale quella creata dall'imputato e, quindi, anche cadere, procurandosi lesioni”.
Alla data della sentenza non risultavano precedenti specifici.
Avv. Alberto Piloni - Retelegale Ancona
La sera dell'Epifania del 2007 il signor XXXXXX posteggiava la propria autovettura su di un marciapiede; la signora XXXXXX, che percorreva quel marciapiede, nel tentare di passare nell'esiguo spazio lasciato ai pedoni, urtava lo specchietto retrovisore, cadeva dal marciapiede e, tentando di attutire la caduta, si procurava la frattura del polso destro. Portata presso il locale pronto soccorso, le veniva diagnosticata una frattura pluriframmentata metaepifisaria del radio destro, con spostamento dei monconi.
Interveniva sul posto la Polizia Municipale e, al proprietario del veicolo, elevava contravvenzione ai sensi dell'art. 158, comma 1°, lett. h), C.d.S..
La signora XXXXXX sporgeva querela nei confronti del proprietario dell'autovettura, che risultava anche essere l'autore dell'infelice parcheggio.
Il susseguente procedimento si svolgeva dinnanzi al Giudice di pace di San Severino Marche.
Nel corso del processo veniva accertato che:
l'auto era stata posteggiata sul marciapiede dall'imputato e lo ostruiva quasi per intero, lasciando solo due piccoli passaggi ai lati (tutti i testi, compresi quelli addotti dalla difesa, nonché le fotografie scattate nell'immediatezza dei fatti e prodotte dalle parti, confermavano la circostanza);
la signora XXXXXX, preceduta da altre due persone, tentava di passare lungo la striscia di marciapiede lasciata libera dalla vettura e posta sul lato prospiciente la strada (tutti i testi concordi);
la strada in questione risultava alquanto transitata ed il tratto in cui avveniva il sinistro risultava piuttosto insidioso in quanto posto sotto curva e, quindi, coperto (tutti i testi risultavano concordi); era, pertanto, troppo pericoloso, scendere dal marciapiede;
nel porre attenzione a dove metteva i piedi, la signora XXXXXX, anziana e con seri problemi di vista, urtava lo specchietto retrovisore destro dell'auto del signor XXXXXX e cadeva dal marciapiede sulla strada, rovinando a terra e procurandosi la frattura sopra descritta, con una malattia di 234 giorni, durante i quali subiva un lungo ricovero ospedaliero e due interventi di osteosintesi (testi concordi, certificazione medica e perizia medico-legale non contestati);
residuavano postumi permanenti invalidanti nella misura dell'8 %.
Il PM concludeva per la condanna dell'imputato alla multa di € 650,00.
La signora XXXXXX, costituitasi parte civile, concludeva chiedendo il ristoro dei danni subiti.
Con la sentenza n. 9/08 del 9 maggio 2008, Giudice di pace di San Severino Marche assolveva il signor XXXXXX dal reato p. e p. dall'art. 590 c.p., “perché il fatto non sussiste”.
Osservava il giudicante, che essendo l'auto “ferma e immobile, addirittura priva di conducente ....... il danno riportato non può essere ascritto alla circolazione stradale”, che non esisteva “...alcun nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dall'imputato”, in quanto “la macchina di questi, anche se parcheggiata fuori dagli appositi spazi, era comunque ferma, ben visibile e non costituiva affatto un pericolo occulto e imprevedibile”; concludeva, pertanto, che “l'evento si è verificato per l'imprudenza della signora XXXXXX”.
La signora XXXXXX proponeva appello ai soli effetti civili, dinnanzi al Tribunale di Camerino. La causa veniva discussa all'udienza del 23 dicembre 2008.
Con sentenza n. 352, del 27 dicembre 2008, in riforma della sentenza impugnata, il Tribunale condannava il signor XXXXXX al risarcimento del danno subito dalla signora XXXXXX, che quantificava in € 16.000,00, ed alla refusione delle spese di costituzione e di assistenza di parte civile per entrambi i gradi di giudizio.
Il giudice di secondo grado formulava questa importante premessa, che vale la pena di riportare per esteso:
“In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del nesso causale materiale tra la condotta dell'agente (attiva od omissiva) e l'evento, ma anche la cosiddetta causalità della colpa, rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Compito del giudice in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi, così, la cosiddetta concretizzazione del rischio.
Peraltro, affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, indica che anche l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento.
Si può, quindi, formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili significative probabilità di scongiurare il danno (v. Cass., Sez. IV, 19512-08, Giuda al Diritto, n. 25, 2008, p. 93)”
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