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mercoledì 28 luglio 2010
La durata dell'ora di lezione è normalmente, come potrebbe sembrare ovvio, di sessanta minuti.
Tuttavia può accedere che, nelle scuole dove il fenomeno del pendolarismo è particolarmente diffuso fra gli studenti, gli orari scolastici non coincidano con quelli dei mezzi di trasporto. Per questo motivo (e, più in generale, per tutti i motivi di forza maggiore) la durata dell'ora di lezione può essere ridotta a cinquanta minuti.
Le riduzioni dell'orario possono essere decise solo per causa di forza maggiore e sono regolate dall'art. 28, comma 8, CCNL comparto scuola, del 24 ottobre 2007, il quale, a sua volta, stabilisce che “... la materia resta regolata dalle circolari ministeriali numero 243, del 22 settembre 1979 e 192, del 3 luglio 1980 ...”.
Ai sensi della circolare n. 243, in caso di “... accertate esigenze sociali degli studenti, derivanti da insuperabili difficoltà dei trasporti...”, “... nei giorni della settimana nei quali l'orario delle lezioni è di sette ore la riduzione può riferirsi alle prime due e alle ultime tre ore ...” e “non è configurabile alcun obbligo per i docenti di recuperare le frazioni orarie oggetto di riduzione”.
La circolare n. 192 del 1980, in riferimento alla n. 243 del 1979, stabilisce la possibilità di decidere “... eventuali riduzioni di orario anche nelle ipotesi non contemplate dalla predetta circolare”, estendendo la possibilità di riduzione e rendendola possibile sia per tutte le ore di lezione, sia per problemi diversi dal trasporto.
Nell'ambito delle varie controversie instauratesi per il rispetto del divieto di recupero, troppo frequentemente violato dai presidi, i vari Uffici scolastici regionali mantengono una linea abbastanza unitaria, sostenendo che l'orario scolastico è deciso dal Dirigente scolastico “...nella propria responsabilità gestionale, affidatagli da norme di legge (art. 25, del D. L.vo165/2001)” e che “... gli interventi del Consiglio d'istituto e del Collegio docenti...” sono meramente “preparatori”, rispetto alla decisione del dirigente scolastico.
In sostanza, il preside fa ciò che vuole, anche in barba a quanto deliberato dai vari organi collegiali (quando non sono gli stessi presidi ad orientare e guidare le decisioni).
Ciò non è assolutamente vero.
Ai fini di un corretto inquadramento giuridico-contrattuale della questione, appaiono fondamentali altre due norme: quella dell'art. 25, comma 2°, D.L.vo 165/2001, dove si stabilisce che l'esercizio dei poteri decisionali di gestione e organizzazione dell'istituto, deve avvenire “nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici”, e quella dell'art. 28, comma 8, del vigente CCNL comparto scuola, dove, sempre riferendosi all'eventuale diminuzione della durata dell'ora di lezione, si stabilisce che “... la relativa delibera è assunta dal consiglio di circolo o d'istituto”.
Pertanto, in base all'assetto normativo e contrattuale sopra evidenziato e tenuto conto delle dovute precisazioni, si può formulare il seguente principio: l'orario scolastico è deciso dal direttore scolastico; tuttavia (contrariamente a quanto affermato dai vari USR), in caso di accertate esigenze sociali degli studenti, derivanti da insuperabili difficoltà dei trasporti o da altri fattori, dietro delibera assunta dal consiglio di circolo o d'istituto, il preside può ridurre di dieci minuti la durata di tutte le ore di lezione, senza che possa configurarsi un obbligo di recupero in capo ai docenti.
In sintesi e per quanto qui interessa, quando esiste un'esigenza insuperabile, la conseguente riduzione dell'orario non deve essere recuperata.
La circostanza parrebbe di poco conto, ma l'esperienza quotidiana insegna che l'abuso dello strumento del recupero comporta per gli insegnati conseguenze piuttosto pesanti.
In alcuni istituti il preside è riuscito ad imporre ai docenti recuperi che superano le cento ore.
Le modalità di questi recuperi, poi, lasciano alquanto perplessi: vengono, infatti, poste a recupero anche le attività che si sarebbero dovute pagare con il fondo d'istituto, ottenendo, così un notevole, ma illegittimo, risparmio di denaro.
Alla contrattazione d'istituto spetta il compito di arginare la fame di denaro dei presidi, i quali, troppo spesso, scaricano sui docenti i costi dei tagli che la scuola sta subendo.
Il presente articolo verrà aggiornato all'esito delle varie iniziative giudiziarie ancora in corso.
Avv. Alberto Piloni - retelegale Ancona
Tuttavia può accedere che, nelle scuole dove il fenomeno del pendolarismo è particolarmente diffuso fra gli studenti, gli orari scolastici non coincidano con quelli dei mezzi di trasporto. Per questo motivo (e, più in generale, per tutti i motivi di forza maggiore) la durata dell'ora di lezione può essere ridotta a cinquanta minuti.
Le riduzioni dell'orario possono essere decise solo per causa di forza maggiore e sono regolate dall'art. 28, comma 8, CCNL comparto scuola, del 24 ottobre 2007, il quale, a sua volta, stabilisce che “... la materia resta regolata dalle circolari ministeriali numero 243, del 22 settembre 1979 e 192, del 3 luglio 1980 ...”.
Ai sensi della circolare n. 243, in caso di “... accertate esigenze sociali degli studenti, derivanti da insuperabili difficoltà dei trasporti...”, “... nei giorni della settimana nei quali l'orario delle lezioni è di sette ore la riduzione può riferirsi alle prime due e alle ultime tre ore ...” e “non è configurabile alcun obbligo per i docenti di recuperare le frazioni orarie oggetto di riduzione”.
La circolare n. 192 del 1980, in riferimento alla n. 243 del 1979, stabilisce la possibilità di decidere “... eventuali riduzioni di orario anche nelle ipotesi non contemplate dalla predetta circolare”, estendendo la possibilità di riduzione e rendendola possibile sia per tutte le ore di lezione, sia per problemi diversi dal trasporto.
Nell'ambito delle varie controversie instauratesi per il rispetto del divieto di recupero, troppo frequentemente violato dai presidi, i vari Uffici scolastici regionali mantengono una linea abbastanza unitaria, sostenendo che l'orario scolastico è deciso dal Dirigente scolastico “...nella propria responsabilità gestionale, affidatagli da norme di legge (art. 25, del D. L.vo165/2001)” e che “... gli interventi del Consiglio d'istituto e del Collegio docenti...” sono meramente “preparatori”, rispetto alla decisione del dirigente scolastico.
In sostanza, il preside fa ciò che vuole, anche in barba a quanto deliberato dai vari organi collegiali (quando non sono gli stessi presidi ad orientare e guidare le decisioni).
Ciò non è assolutamente vero.
Ai fini di un corretto inquadramento giuridico-contrattuale della questione, appaiono fondamentali altre due norme: quella dell'art. 25, comma 2°, D.L.vo 165/2001, dove si stabilisce che l'esercizio dei poteri decisionali di gestione e organizzazione dell'istituto, deve avvenire “nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici”, e quella dell'art. 28, comma 8, del vigente CCNL comparto scuola, dove, sempre riferendosi all'eventuale diminuzione della durata dell'ora di lezione, si stabilisce che “... la relativa delibera è assunta dal consiglio di circolo o d'istituto”.
Pertanto, in base all'assetto normativo e contrattuale sopra evidenziato e tenuto conto delle dovute precisazioni, si può formulare il seguente principio: l'orario scolastico è deciso dal direttore scolastico; tuttavia (contrariamente a quanto affermato dai vari USR), in caso di accertate esigenze sociali degli studenti, derivanti da insuperabili difficoltà dei trasporti o da altri fattori, dietro delibera assunta dal consiglio di circolo o d'istituto, il preside può ridurre di dieci minuti la durata di tutte le ore di lezione, senza che possa configurarsi un obbligo di recupero in capo ai docenti.
In sintesi e per quanto qui interessa, quando esiste un'esigenza insuperabile, la conseguente riduzione dell'orario non deve essere recuperata.
La circostanza parrebbe di poco conto, ma l'esperienza quotidiana insegna che l'abuso dello strumento del recupero comporta per gli insegnati conseguenze piuttosto pesanti.
In alcuni istituti il preside è riuscito ad imporre ai docenti recuperi che superano le cento ore.
Le modalità di questi recuperi, poi, lasciano alquanto perplessi: vengono, infatti, poste a recupero anche le attività che si sarebbero dovute pagare con il fondo d'istituto, ottenendo, così un notevole, ma illegittimo, risparmio di denaro.
Alla contrattazione d'istituto spetta il compito di arginare la fame di denaro dei presidi, i quali, troppo spesso, scaricano sui docenti i costi dei tagli che la scuola sta subendo.
Il presente articolo verrà aggiornato all'esito delle varie iniziative giudiziarie ancora in corso.
Avv. Alberto Piloni - retelegale Ancona
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lunedì 26 luglio 2010
Da fonti giornalistiche apprendiamo che il Senato in sede di conversione del decreto legge ha eliminato dalla manovra finanziaria l'innalzamento della percentuale pensionabile per gli invalidi civili che, pertanto, dovrebbe rimanere confermata al vigente 74%.
Il merito dell'eliminazione della modifica legislativa, che risponde ad esigenze di equità e buon senso (vedasi il precedente post con cui è stata analizzata la norma del decreto legge), si deve soprattutto alle associazioni di invalidi che hanno fatto sentire la loro protesta sin sotto le finestre di Montecitorio.
Il dietro front della maggioranza, inoltre, può definirsi una vittora del parlamentarismo rispetto alla vocazione presidenzialista attualmente predominante: una norma ingiusta approvata con decreto legge dal governo, infatti, è stata stralciata in sede di conversione da parte del Parlamento.
Avv. Luca Di Francesco, Retelegale Lecce.
Il merito dell'eliminazione della modifica legislativa, che risponde ad esigenze di equità e buon senso (vedasi il precedente post con cui è stata analizzata la norma del decreto legge), si deve soprattutto alle associazioni di invalidi che hanno fatto sentire la loro protesta sin sotto le finestre di Montecitorio.
Il dietro front della maggioranza, inoltre, può definirsi una vittora del parlamentarismo rispetto alla vocazione presidenzialista attualmente predominante: una norma ingiusta approvata con decreto legge dal governo, infatti, è stata stralciata in sede di conversione da parte del Parlamento.
Avv. Luca Di Francesco, Retelegale Lecce.
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giovedì 22 luglio 2010
Vanno risarciti i danni conseguenti ad una caduta causata da un'autovettura posteggiata su di un marciapiede - Commento alla sentenza del Tribunale di Camerino n. 352/08, del 27 dicembre 2008
La sera dell'Epifania del 2007 il signor XXXXXX posteggiava la propria autovettura su di un marciapiede; la signora XXXXXX, che percorreva quel marciapiede, nel tentare di passare nell'esiguo spazio lasciato ai pedoni, urtava lo specchietto retrovisore, cadeva dal marciapiede e, tentando di attutire la caduta, si procurava la frattura del polso destro. Portata presso il locale pronto soccorso, le veniva diagnosticata una frattura pluriframmentata metaepifisaria del radio destro, con spostamento dei monconi.
Interveniva sul posto la Polizia Municipale e, al proprietario del veicolo, elevava contravvenzione ai sensi dell'art. 158, comma 1°, lett. h), C.d.S..
La signora XXXXXX sporgeva querela nei confronti del proprietario dell'autovettura, che risultava anche essere l'autore dell'infelice parcheggio.
Il susseguente procedimento si svolgeva dinnanzi al Giudice di pace di San Severino Marche.
Nel corso del processo veniva accertato che:
l'auto era stata posteggiata sul marciapiede dall'imputato e lo ostruiva quasi per intero, lasciando solo due piccoli passaggi ai lati (tutti i testi, compresi quelli addotti dalla difesa, nonché le fotografie scattate nell'immediatezza dei fatti e prodotte dalle parti, confermavano la circostanza);
la signora XXXXXX, preceduta da altre due persone, tentava di passare lungo la striscia di marciapiede lasciata libera dalla vettura e posta sul lato prospiciente la strada (tutti i testi concordi);
la strada in questione risultava alquanto transitata ed il tratto in cui avveniva il sinistro risultava piuttosto insidioso in quanto posto sotto curva e, quindi, coperto (tutti i testi risultavano concordi); era, pertanto, troppo pericoloso, scendere dal marciapiede;
nel porre attenzione a dove metteva i piedi, la signora XXXXXX, anziana e con seri problemi di vista, urtava lo specchietto retrovisore destro dell'auto del signor XXXXXX e cadeva dal marciapiede sulla strada, rovinando a terra e procurandosi la frattura sopra descritta, con una malattia di 234 giorni, durante i quali subiva un lungo ricovero ospedaliero e due interventi di osteosintesi (testi concordi, certificazione medica e perizia medico-legale non contestati);
residuavano postumi permanenti invalidanti nella misura dell'8 %.
Il PM concludeva per la condanna dell'imputato alla multa di € 650,00.
La signora XXXXXX, costituitasi parte civile, concludeva chiedendo il ristoro dei danni subiti.
Con la sentenza n. 9/08 del 9 maggio 2008, Giudice di pace di San Severino Marche assolveva il signor XXXXXX dal reato p. e p. dall'art. 590 c.p., “perché il fatto non sussiste”.
Osservava il giudicante, che essendo l'auto “ferma e immobile, addirittura priva di conducente ....... il danno riportato non può essere ascritto alla circolazione stradale”, che non esisteva “...alcun nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dall'imputato”, in quanto “la macchina di questi, anche se parcheggiata fuori dagli appositi spazi, era comunque ferma, ben visibile e non costituiva affatto un pericolo occulto e imprevedibile”; concludeva, pertanto, che “l'evento si è verificato per l'imprudenza della signora XXXXXX”.
La signora XXXXXX proponeva appello ai soli effetti civili, dinnanzi al Tribunale di Camerino. La causa veniva discussa all'udienza del 23 dicembre 2008.
Con sentenza n. 352, del 27 dicembre 2008, in riforma della sentenza impugnata, il Tribunale condannava il signor XXXXXX al risarcimento del danno subito dalla signora XXXXXX, che quantificava in € 16.000,00, ed alla refusione delle spese di costituzione e di assistenza di parte civile per entrambi i gradi di giudizio.
Il giudice di secondo grado formulava questa importante premessa, che vale la pena di riportare per esteso:
“In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del nesso causale materiale tra la condotta dell'agente (attiva od omissiva) e l'evento, ma anche la cosiddetta causalità della colpa, rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Compito del giudice in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi, così, la cosiddetta concretizzazione del rischio.
Peraltro, affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, indica che anche l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento.
Si può, quindi, formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili significative probabilità di scongiurare il danno (v. Cass., Sez. IV, 19512-08, Giuda al Diritto, n. 25, 2008, p. 93)”
Dopo una rapida disamina dei fatti risultanti dall'istruttoria di primo grado, il Giudicante passa all'esame del nesso causale fra la condotta del signor XXXXXX e l'evento lesivo.
Affermato che il nesso causale applicabile al tema della responsabilità extracontrattuale è lo stesso vigente a proposito del reato, identifica nella condotta accertata la condicio sine qua non dell'evento dannoso: “se la vettura fosse stata parcheggiata in modo regolare il fatto non si sarebbe verificato, perché la persona offesa sarebbe potuta passare agevolmente”.
Da ultimo, veniva esclusa l'esistenza di cause sopravvenute che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 41, comma 2° cp, determinano l'interruzione del nesso causale (come sopra identificato) quando sono da sole sufficienti a determinare l'evento in quanto: “...è naturale che una persona non più in giovane età possa passare in modo disagevole in una situazione quale quella creata dall'imputato e, quindi, anche cadere, procurandosi lesioni”.
Alla data della sentenza non risultavano precedenti specifici.
Avv. Alberto Piloni - Retelegale Ancona
La sera dell'Epifania del 2007 il signor XXXXXX posteggiava la propria autovettura su di un marciapiede; la signora XXXXXX, che percorreva quel marciapiede, nel tentare di passare nell'esiguo spazio lasciato ai pedoni, urtava lo specchietto retrovisore, cadeva dal marciapiede e, tentando di attutire la caduta, si procurava la frattura del polso destro. Portata presso il locale pronto soccorso, le veniva diagnosticata una frattura pluriframmentata metaepifisaria del radio destro, con spostamento dei monconi.
Interveniva sul posto la Polizia Municipale e, al proprietario del veicolo, elevava contravvenzione ai sensi dell'art. 158, comma 1°, lett. h), C.d.S..
La signora XXXXXX sporgeva querela nei confronti del proprietario dell'autovettura, che risultava anche essere l'autore dell'infelice parcheggio.
Il susseguente procedimento si svolgeva dinnanzi al Giudice di pace di San Severino Marche.
Nel corso del processo veniva accertato che:
l'auto era stata posteggiata sul marciapiede dall'imputato e lo ostruiva quasi per intero, lasciando solo due piccoli passaggi ai lati (tutti i testi, compresi quelli addotti dalla difesa, nonché le fotografie scattate nell'immediatezza dei fatti e prodotte dalle parti, confermavano la circostanza);
la signora XXXXXX, preceduta da altre due persone, tentava di passare lungo la striscia di marciapiede lasciata libera dalla vettura e posta sul lato prospiciente la strada (tutti i testi concordi);
la strada in questione risultava alquanto transitata ed il tratto in cui avveniva il sinistro risultava piuttosto insidioso in quanto posto sotto curva e, quindi, coperto (tutti i testi risultavano concordi); era, pertanto, troppo pericoloso, scendere dal marciapiede;
nel porre attenzione a dove metteva i piedi, la signora XXXXXX, anziana e con seri problemi di vista, urtava lo specchietto retrovisore destro dell'auto del signor XXXXXX e cadeva dal marciapiede sulla strada, rovinando a terra e procurandosi la frattura sopra descritta, con una malattia di 234 giorni, durante i quali subiva un lungo ricovero ospedaliero e due interventi di osteosintesi (testi concordi, certificazione medica e perizia medico-legale non contestati);
residuavano postumi permanenti invalidanti nella misura dell'8 %.
Il PM concludeva per la condanna dell'imputato alla multa di € 650,00.
La signora XXXXXX, costituitasi parte civile, concludeva chiedendo il ristoro dei danni subiti.
Con la sentenza n. 9/08 del 9 maggio 2008, Giudice di pace di San Severino Marche assolveva il signor XXXXXX dal reato p. e p. dall'art. 590 c.p., “perché il fatto non sussiste”.
Osservava il giudicante, che essendo l'auto “ferma e immobile, addirittura priva di conducente ....... il danno riportato non può essere ascritto alla circolazione stradale”, che non esisteva “...alcun nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dall'imputato”, in quanto “la macchina di questi, anche se parcheggiata fuori dagli appositi spazi, era comunque ferma, ben visibile e non costituiva affatto un pericolo occulto e imprevedibile”; concludeva, pertanto, che “l'evento si è verificato per l'imprudenza della signora XXXXXX”.
La signora XXXXXX proponeva appello ai soli effetti civili, dinnanzi al Tribunale di Camerino. La causa veniva discussa all'udienza del 23 dicembre 2008.
Con sentenza n. 352, del 27 dicembre 2008, in riforma della sentenza impugnata, il Tribunale condannava il signor XXXXXX al risarcimento del danno subito dalla signora XXXXXX, che quantificava in € 16.000,00, ed alla refusione delle spese di costituzione e di assistenza di parte civile per entrambi i gradi di giudizio.
Il giudice di secondo grado formulava questa importante premessa, che vale la pena di riportare per esteso:
“In tema di reato colposo, per poter addebitare un evento ad un determinato soggetto occorre accertare non solo la sussistenza del nesso causale materiale tra la condotta dell'agente (attiva od omissiva) e l'evento, ma anche la cosiddetta causalità della colpa, rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. Infatti, la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Compito del giudice in proposito, per poter formalizzare l'addebito, è quello di identificare una norma specifica avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che, all'epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti. Per l'effetto, ai fini dell'addebito, l'accadimento verificatosi deve essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, realizzandosi, così, la cosiddetta concretizzazione del rischio.
Peraltro, affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che, per aversi colpa, l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, indica che anche l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento.
Si può, quindi, formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili significative probabilità di scongiurare il danno (v. Cass., Sez. IV, 19512-08, Giuda al Diritto, n. 25, 2008, p. 93)”
Dopo una rapida disamina dei fatti risultanti dall'istruttoria di primo grado, il Giudicante passa all'esame del nesso causale fra la condotta del signor XXXXXX e l'evento lesivo.
Affermato che il nesso causale applicabile al tema della responsabilità extracontrattuale è lo stesso vigente a proposito del reato, identifica nella condotta accertata la condicio sine qua non dell'evento dannoso: “se la vettura fosse stata parcheggiata in modo regolare il fatto non si sarebbe verificato, perché la persona offesa sarebbe potuta passare agevolmente”.
Da ultimo, veniva esclusa l'esistenza di cause sopravvenute che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 41, comma 2° cp, determinano l'interruzione del nesso causale (come sopra identificato) quando sono da sole sufficienti a determinare l'evento in quanto: “...è naturale che una persona non più in giovane età possa passare in modo disagevole in una situazione quale quella creata dall'imputato e, quindi, anche cadere, procurandosi lesioni”.
Alla data della sentenza non risultavano precedenti specifici.
Avv. Alberto Piloni - Retelegale Ancona
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domenica 11 luglio 2010
Con l'art. 10 del decreto legge 31 maggio 2010 n°78 (la manovra di riduzione della spesa pubblica che sarebbe necessitata dalla crisi economica) è stata innalzata la soglia che dà diritto a percepire l'assegno di invalidità civile dal 74% al 85%.
La finalità è quella di ridurre la spesa pubblica eliminando (senza effetto retroattivo in quanto l'innalzamento si applica esclusivamente alle domande di riconoscimento inoltrate dopo il 1 giugno 2010) gli assegni di invalidità per coloro che abbiano un'invalidità parziale sino all'84%.
Il risparmio stimato dalle associazioni di tutela degli invalidi pare che sia di circa 30 milioni l'anno attesa l'esiguità degli importi erogati ed il basso limite redditualeper averne diritto (stiamo parlando di una prestazione economica di appena € 256,67 mensili con un limite di reddito annuo per il 2010 pari ad ad € 4.408,95.)
Tale modifica normativa, tuttavia, è stata approvata senza che siano state preventivamente oggetto di rivalutazione le tabelle delle minorazioni attraverso le quali si attribuiscono le percentuali invalidanti alle varie patologie (il grado invalidante di ciascuna patologia viene stabilito dalla legge con una percentuale fissa o con una percentuale variabile tra un valore ed un altro, spettando poi alle competenti commissioni sanitarie di stabilire l'esatta percentuale tra i valori minimi e massimi indicati).
Già nel passato (1992) fu innalzata la soglia percentuale per avere diritto alla prestazione economica dell'assegno dal 67% al 74% ma, contestualmente, furono approvate le nuove tabelle per l'invalidità civile frutto di una opportuna valutazione medico-legale da parte di apposita commissione di studio.
In maniera del tutto irrazionale, invece, l'attuale manovra economica innalza semplicemente la percentuale senza alcuna previa rivalutazione da parte di apposita commissione scientifica delle percentuali da attribuire alle singole patologie.
L'effetto di tale modo di procedere è quello di privare dell'assistenza sociale, prevista e garantita dalla Costituzione quei soggetti che pur essendo affetti da patologie importanti e particolarmente invalidanti (come la depressione endogena grave o la sindrome delirante cronica per le quali le attuali tabelle prevedono un'invalidità tra il 71 e l'80%) che sicuramente impediscono lo svolgimento di un proficuo lavoro (chi assumerebbe un depresso grave o uno schizofrenico con sindrome delirante?).
E' evidente che l'innalzamento della percentuale avulso da una riforma organica della materia che tenga conto innanzitutto di dare una giusta valutazione percentuale alle varie patologie sulla base di studi scientifici medico-legali, è da ritenersi ingiusta e, probabilmente incostituzionale per contrarietà all'art. 38 della Costituzione (che sebbene faccia riferimento testualmente al cittadino inabile comprendere sia gli invalidi totali che quelli con alti livelli di invalidità parziale) anche con riferimento all'art. 3, secondo comma, ed all'art. 2, secondo comma (ove si fa riferimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale).
Attualmente, a seguito delle proteste sostenute soprattutto dalle associazioni di disabili, sono allo studio delle soluzioni correttive. Pare che sia stato proposto un emendamento con il quale la percentuale del 74% sarebbe conservata per quelle patologie che da sole determinano un'invalidità pari o superiore al 74%.
In pratica l'assegno di invalidità non sarebbe riconosciuto a chi ha un'invalidità del 74% determinata da più patologie nessuna delle quali, da sola, raggiunge il 74%.
Anche questa soluzione dimostra l'assoluta improvvisazione giuridico-legislativa di chi approva una norma sbagliata e cerca di limitare i danni con un'altra norma altrettanto discutibile.
Chiunque ha dimestichezza con il concetto di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione si renderà immediatamente conto che la norma è evidentemente anticostituzionale perché crea disparità di trattamento tra l'invalido all'80% per una sola patologia (o per più patologie di cui una determina un'invalidità pari al 74%) e l'invalido all'80% per più patologie delle quali nessuna supera il 74%.
Mentre il primo avrà diritto alla prestazione economica il secondo, nonostante abbia il medesimo grado di invalidità, non ne avrà diritto.
Possibile che uno dei sette paesi più industrializzati del mondo non abbia alternative diverse per risanare i conti pubblici?
Possibile che per far fronte ad una situazione di crisi economica debbano per forza essere colpiti i soggetti più deboli della societa?
Mi chiedo che idea di stato e di democrazia è alla base di queste scelte legislative con le quali i principi di solidarietà sociale si applicano al contrario: non si chiede un sacrificio ai più ricchi (magari con un pressoché impercettibile aumento delle aliquote fiscali considerato che il risparmio di spesa stimato è assai modesto) per aiutare i soggetti che nella società si trovano in condizioni di disagio sociale, ma, al contrario, si impone agli invalidi un sacrificio per il bene della collettività!!!
Mi auguro che si possa trovare una soluzione alternativa di risparmio di spesa che non privi gli invalidi civili parziali di una prestazione che già è di importo così esiguo da costituire soltanto un modesto aiuto per (soprav)vivere con un minimo di dignità la propria esistenza.
Avv. Luca Di Francesco, Retelegale Lecce
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Le opinioni espresse da ciascun associato sia sul blog dell'associazione (retelegale.blogspot) sia sui blog delle
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pubblicazioni non costituisce testata giornalistica
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