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sabato 19 giugno 2010
Il processo del lavoro è lungo ed estenuante. Le lungaggini processuali minano l'esistenza stessa dei diritti. Normalmente dal deposito della domanda in Tribunale e la prima udienza passano circa 3 o 4 mesi. In alcuni casi i mesi diventano 5 o 6.
Il nostro ordinamento ha inventato un istituto, quello del Tentativo obbligatorio di conciliazione, che aumento ancora di più i tempi processuali. Dalla data di inoltro della domanda alla DPL e quella di convocazione delle parti per l relativo espletamento del tentativo di conciliazione non devono trascorrere più di 60 giorni nel settore privato e 90 in quello pubblico. La domanda che ci poniamo è: è possibile contemporaneamente depositare il ricorso in tribunale ed inviare la richiesta di tentativo di conciliazione alla Direzione provinciale del Lavoro? Che cosa succede in questo caso?
Poiché altri più autorevoli del sottoscritto avvocato si sono espressi, è bene invocare qui il loro contributo.
“In materia di processo del lavoro, il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 412 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità della domanda, deve essere eccepito dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'art. 416 c.p.c. e può essere rilevato d'ufficio dal giudice, purché non oltre l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., con la conseguenza che ove l'improcedibilità dell'azione, anche se segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio.” Cassazione civile sez. lav. 14 ottobre 2009 n. 21797 Inpdap C. D'Amato e altro in Guida al diritto 2010, 1, 51 (s.m.).
“Premesso che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 cost., non possono essere interpretate in senso estensivo, deve ritenersi che, ai fini dell'espletamento del tentativo di conciliazione , il quale ai sensi dell'art. 412 c.p.c. costituisce condizione di procedibilità della domanda, sia sufficiente, in base a quanto disposto dall'art. 410 bis c.p.c., la presentazione della richiesta all'organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro , considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall'avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte. Tale comunicazione è invece necessaria, ai sensi dell'art. 410, comma 2, c.p.c., perché si verifichi la interruzione della prescrizione e la sospensione, per il periodo ivi indicato, di ogni termine di decadenza.” Cassazione civile sez. lav. 21 gennaio 2004 n. 967 Bizzanelli C. Garlisi in Giust. civ. Mass.2004, 1, Notiziario giur. Lav. 2004, 370.
Ergo, non vi possono essere dubbi circa la natura del tentativo di conciliazione che NON E' condizione di ammissibilità e NON E' condizione di proponibilità della domanda ma E' condizione di procedibilità.
La sua funzione è, come è noto, quella di ridurre il contenzioso in materia di lavoro.
Il contenzioso in materia di lavoro, come è abbastanza agevole intuire, diminuisce se le parti rispondono alla convocazione della direzione provinciale del lavoro, si rendono disponibili ad una soluzione bonaria, trovano l'accordo e lo sottoscrivono. Esserci fisicamente, dunque, presenziare a quell'incontro, pare essere condizione indefettibile perché questo strumento possa funzionare. Mettiamo il caso frequente della parte datoriale che non si presenta al Tentativo di conciliazione promosso dal lavoratore che contemporaneamente ha depositato il ricorso in tribunale e poi chieda l'improcedibilità dell'azione a causa del mancato rispetto dei termini di cui al terzo comma dell'art. 412 bis c.p.c. Ciò, come è noto, avrebbe come conseguenza quella di sospendere il giudizio per concedere alle parti un termine per l'espletamento del tentativo stesso. Il fatto è, tuttavia, che quella convocazione c'è già stata e quella commissione si è già riunita ed ha redatto un verbale nel quale si dava atto della presenza del lavoratore, del suo difensore e dell'ASSENZA del datore di lavoro. Da questo comportamento concludente si deve obbligatoriamente dedurre che il datore di lavoro non ha alcuna intenzione di conciliare la causa.
Quindi anche i muri, per dirlo con una espressione idiomatica, sono consapevoli del fatto che datore di lavoro e lavoratore non intendono o non sono in grado o non possono conciliare questa controversia.
Quindi, ci si chiede: di che cosa stiamo parlando? Della necessità di sospendere un procedimento per adire di nuovo la Direzione provinciale del lavoro affinché convochi la commissione e le parti per assistere ancora una volta all'assenza della datrice di lavoro?
Tentiamo di interpretare nel suo complesso l'art. 412 bis c.p.c. che recita “L'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.”. Questo è il primo comma che non risulta interpretabile e descrive sin da subito una traiettoria ermeneutica chiara non distinguendo (volutamente) tra promozione ed espletamento ma, al contrario, riferendosi unicamente all'espletamento del tentativo di conciliazione. Il secondo comma si riferisce alle decadenze processuali e non ci interessa nel caso di specie. Vediamo il terzo comma.
“Il giudice, ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione”
A chi scrive pare assolutamente incontrovertibile che questo comma, che arriva dopo che è stato espresso un principio in maniera lapidaria al comma principale ed iniziale, si riferisce comunque al caso in cui il tentativo di conciliazione non sia stato espletato per la mancata convocazione della parti dinanzi alla Direzione provinciale del Lavoro. Questo, purtroppo, è un caso molto frequente che in questa norma trova una sua completa disciplina. Le Direzioni Provinciali del Lavoro spesso sono oberate e congestionate al punto da non poter rispettare i termini previsti dalla legge per la convocazione della parti al fine di espletare il tentativo di conciliazione. La legge, quindi ha previsto che la condizione di procedibilità si realizzi comunque decorsi 60 giorni dalla promozione del tentativo stesso. Quindi, ricapitolando, questa norma dice che, tenuto fermo il principio secondo il quale l'espletamento del tentativo di conciliazione è condizione di procedibilità dell'azione (comma 1), se la parte agisce in giudizio prima che siano decorsi 60 giorni SENZA che il tentativo di conciliazione sia stato espletato o, addirittura, senza averlo mai promosso, la relativa domanda debba essere dichiarata improcedibile con concessione dei termini di cui al medesimo comma. Questa è l'unica interpretazione sistematica possibile.
L'interpretazione opposta conduce a delle aberrazioni sistemiche al limite del ridicolo che, oltretutto, non solo non consentirebbero all'istituto in esame di ridurre il contenzioso in materia di diritto del lavoro ma addirittura determinerebbero un appesantimento dell'intero meccanismo.
Se utilizziamo ogni comma senza ricordarci che quel comma vive dentro un articolo e che quell'articolo vive dentro un codice, andando incontro ad errori di interpretazione sostenendo tesi possibili ma sbagliate intente a seguire una “logica” capziosa, strumentale e inutilmente formalista. Perché c'è sempre quel primo comma che toglie ogni dubbio circa la reale natura dell'istituto in parola.
Per cui è interessante capire, e qui il difensore può e deve utilizzare la sua esperienza, tenendo conto dei tempi di convocazione della locale DPL e dei tempi di fissazione dell'udienza da parte del Tribunale, qual'è il caso in cui è possibile promuovere la causa e il tentativo di conciliazione contemporaneamente. Le conseguenze sono molto importanti. Se la DPL mi fissa il Tentativo di Conciliazione, ad esempio, il 20 di settembre ed il giudice nel frattempo ha fissato l'udienza per il 10 di ottobre, il datore di lavoro avrà ancor di più interesse a definire la vicenda dovendosi confrontare con una scadenza ravvicinata che determina costi e rischi elevati.
E' evidente che quella che propongo è una linea difensiva che deve trovare il consenso del giudice ma sono sicuro che spingendo su questo punto con le argomentazioni sopra prospettate, troveremo il placet della giurisprudenza in poco tempo e avremmo contribuito alla riduzione dei tempi processuali senza intervenire sul dato normativo.
Marco Guercio
Avvocato
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