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giovedì 8 aprile 2010
NON PUNIBILE PER ESERCIZIO DI UN DIRITTO LA CONDOTTA DI CHI CON UN BUFFETTO FA CADERE UN CAPPELLO CON EMBLEMI NAZISTI. Nota a sentenza 437/2009 Tribunale di Lanciano.
Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano , Dr. Francesco marino, ha emesso una interessante sentenza in data29.9.09-6.10.09. Il procedimento penale vedeva imputati 4 giovani antifascisti abruzzesi, assistiti dagli avv. Malandra I. , De Caro E. e Di Bucchianico, Ricucci, per i reati di violenza privata ( art. 610 c.p.) in concorso perché: “costringevano il Si. XXXX YYYYY a togliere il cappello che indossava , riproducente l'aquila e la croce celtica, con minaccia consistita nell'accerchiarlo, girandogli intorno , nel guardarlo in modo provocatorio indicando il cappello e nel proporgli la possibilità, in caso contrario, di subire delle conseguenze molto dannose per la sua persona. In San Vito Chietino il 26.7.2005).
I fatti per come emersi nel corso del dibattimento sono risultati i seguenti: la sera del 26.7.05 era in svolgimento a S. Vito Chietino la festa di “Alleanza Nazionale” ed il giovane militante delpartito Sig. XXXX YYYY si trovava nel luogo della festa indossando un cappellino con visiera che riportava l'effige dell'aquila con la croce cweltica. Ad un certo punto allo stesso si avvicinarono tre/quattro giovani dello stesso paese simpatizzanti di “Rifondazione Comunista” che iniziarono a chiedergli con insistenza di togliersi il copricapo e di consegnarlo a loro . Il gioane , intimidito, si tolse il copricapo ma rifiutò di consegnarlo agli imputati e guardò nella direzione ove era suo zio in cerca di aiuto. Questi sopraggiunse e chiese cosa stesse accadendo. I 4 antagonisti politici del XXX YYY dissero che non volevano edere il simbolo della croce celtica in quanto contrari al nazismo. Intervenne un altro sodale del XXX YYY il quale prese il cappello e se lopose sulla testa e uno dei giovani imputati con un buffetto cercò senza riuscirvi di far cadere il cappello.Ne nacque un'accesa discussione tra i membri delle due fazioni politiche contrapposte, i cui gruppi si erao accresciuti in numero , senza che,. Per fortuna si arrivasse alle mani.
Il Giudice nota che la contrapposizione è avvenuta per motivi politici sostanzialmente riconducibili alla libera espressione del pensiero tutelata dalla nostra Costituzione all'art. 21. tuttavia la condotta dei quattro per sovrabbondanza numerica e tono delle espressioni usate: “se non togli il cappello finisce male” ha sicuramente realizzato una coartazione della volontà della persona offesa che vale a configurare l'elemento materiale del reato di violenza privata. Ciò posto deve rilevarsi che la coartazione posta in essere risulta scriminata alla luce della condotta posta in essere dalla persona offesa in sé costituente reato. Infatti i simboli ostentati sul cappello indossato dal XXXX YYYY, ossia l'aquila e la croce celtica,sono stati ( e sono tuttora) utilizzati da partiti e movimenti di estrema destra in Italia ed in Europa ispirati alle tragiche vicende del fascismo e del nazismo e come tali comunemente riconoscibili ed identificabili. Si tratta di simboli che, per fattoo notorio, caratterizzano iconologicamente organizzazioni, associazioni gruppi che, raccogliendo la “tradizione” culturale del nazismo e del fascismo, coltivano tra i propri scopi l'incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e la cui costituzione, pertanto, è vietata dalla Legge italiana ( art 3 III c L n.654 del 1975). Orbene anche l'art 2 del D. Lgs n.122 del 1993 ( c.d. Legge Mancino) punisce come reato l'ostentazione di emblemi o simboli dei movimenti e gruppi di cui all'art 3III c. L. 654/75 in occasione di pubbliche riunioni, ipotesi ricorrente nel caso di specie ( festa di partito). Pertanto la coazione posta in essere dagli odierni imputati, condotta con le modalità non particolarmente aggressive riferite dalla persona offesa, tali quindi da potersi ritenere proporzionate al fatto, può ritenersi giustificata dalla finalità di impedire la commissione di un reato da parte del XXXX YYYY”.
La sentenza in commento offre un interessante ricostruzione della scriminante dell'esercizio di un diritto/adempimento di un dovere ricostruendo correttamente le condizioni per l'applicazione della scriminante in oggetto : quali l'aver compiuto un reato al fine di esercitare un proprio diritto, la proporzionalità tra la condotta posta in essere e il diritto esercitato e il diritto violato, e coerentemente il Giudice frentano fa riferimento a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che: “ Ai fini della sussistenza o meno del reato di violenza privata, la coazione deve ritenersi giustificata non solo quando ricorra una delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51-54 c.p. ma anche quando la violenza o minaccia sia adoperata per impedire l'esecuzione o la permanenza di un reato... però..anche quando la coazione sia stata usta per impedire la commissione di un reato, non può prescindersi da un criterio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il reato che si intendeva impedire” ( Cass. Pen sez. V 7.6.1988 n. 5423).
Bologna-Chieti 15 marzo 2010
avv. Isidoro Malandra
avv. Elia De Caro ( Retelegale Bologna)
Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano , Dr. Francesco marino, ha emesso una interessante sentenza in data29.9.09-6.10.09. Il procedimento penale vedeva imputati 4 giovani antifascisti abruzzesi, assistiti dagli avv. Malandra I. , De Caro E. e Di Bucchianico, Ricucci, per i reati di violenza privata ( art. 610 c.p.) in concorso perché: “costringevano il Si. XXXX YYYYY a togliere il cappello che indossava , riproducente l'aquila e la croce celtica, con minaccia consistita nell'accerchiarlo, girandogli intorno , nel guardarlo in modo provocatorio indicando il cappello e nel proporgli la possibilità, in caso contrario, di subire delle conseguenze molto dannose per la sua persona. In San Vito Chietino il 26.7.2005).
I fatti per come emersi nel corso del dibattimento sono risultati i seguenti: la sera del 26.7.05 era in svolgimento a S. Vito Chietino la festa di “Alleanza Nazionale” ed il giovane militante delpartito Sig. XXXX YYYY si trovava nel luogo della festa indossando un cappellino con visiera che riportava l'effige dell'aquila con la croce cweltica. Ad un certo punto allo stesso si avvicinarono tre/quattro giovani dello stesso paese simpatizzanti di “Rifondazione Comunista” che iniziarono a chiedergli con insistenza di togliersi il copricapo e di consegnarlo a loro . Il gioane , intimidito, si tolse il copricapo ma rifiutò di consegnarlo agli imputati e guardò nella direzione ove era suo zio in cerca di aiuto. Questi sopraggiunse e chiese cosa stesse accadendo. I 4 antagonisti politici del XXX YYY dissero che non volevano edere il simbolo della croce celtica in quanto contrari al nazismo. Intervenne un altro sodale del XXX YYY il quale prese il cappello e se lopose sulla testa e uno dei giovani imputati con un buffetto cercò senza riuscirvi di far cadere il cappello.Ne nacque un'accesa discussione tra i membri delle due fazioni politiche contrapposte, i cui gruppi si erao accresciuti in numero , senza che,. Per fortuna si arrivasse alle mani.
Il Giudice nota che la contrapposizione è avvenuta per motivi politici sostanzialmente riconducibili alla libera espressione del pensiero tutelata dalla nostra Costituzione all'art. 21. tuttavia la condotta dei quattro per sovrabbondanza numerica e tono delle espressioni usate: “se non togli il cappello finisce male” ha sicuramente realizzato una coartazione della volontà della persona offesa che vale a configurare l'elemento materiale del reato di violenza privata. Ciò posto deve rilevarsi che la coartazione posta in essere risulta scriminata alla luce della condotta posta in essere dalla persona offesa in sé costituente reato. Infatti i simboli ostentati sul cappello indossato dal XXXX YYYY, ossia l'aquila e la croce celtica,sono stati ( e sono tuttora) utilizzati da partiti e movimenti di estrema destra in Italia ed in Europa ispirati alle tragiche vicende del fascismo e del nazismo e come tali comunemente riconoscibili ed identificabili. Si tratta di simboli che, per fattoo notorio, caratterizzano iconologicamente organizzazioni, associazioni gruppi che, raccogliendo la “tradizione” culturale del nazismo e del fascismo, coltivano tra i propri scopi l'incitamento alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e la cui costituzione, pertanto, è vietata dalla Legge italiana ( art 3 III c L n.654 del 1975). Orbene anche l'art 2 del D. Lgs n.122 del 1993 ( c.d. Legge Mancino) punisce come reato l'ostentazione di emblemi o simboli dei movimenti e gruppi di cui all'art 3III c. L. 654/75 in occasione di pubbliche riunioni, ipotesi ricorrente nel caso di specie ( festa di partito). Pertanto la coazione posta in essere dagli odierni imputati, condotta con le modalità non particolarmente aggressive riferite dalla persona offesa, tali quindi da potersi ritenere proporzionate al fatto, può ritenersi giustificata dalla finalità di impedire la commissione di un reato da parte del XXXX YYYY”.
La sentenza in commento offre un interessante ricostruzione della scriminante dell'esercizio di un diritto/adempimento di un dovere ricostruendo correttamente le condizioni per l'applicazione della scriminante in oggetto : quali l'aver compiuto un reato al fine di esercitare un proprio diritto, la proporzionalità tra la condotta posta in essere e il diritto esercitato e il diritto violato, e coerentemente il Giudice frentano fa riferimento a una sentenza della Cassazione che ha stabilito che: “ Ai fini della sussistenza o meno del reato di violenza privata, la coazione deve ritenersi giustificata non solo quando ricorra una delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51-54 c.p. ma anche quando la violenza o minaccia sia adoperata per impedire l'esecuzione o la permanenza di un reato... però..anche quando la coazione sia stata usta per impedire la commissione di un reato, non può prescindersi da un criterio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il reato che si intendeva impedire” ( Cass. Pen sez. V 7.6.1988 n. 5423).
Bologna-Chieti 15 marzo 2010
avv. Isidoro Malandra
avv. Elia De Caro ( Retelegale Bologna)
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venerdì 2 aprile 2010
La materia delle espropriazioni per pubblica utilità è una delle più delicate e complesse del diritto amministrativo, con risvolti significativi di diritto civile ed interferenze da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Vi è il coinvolgimento di numerosi principi ed interessi costituzionalmente rilevanti. Vengono in considerazione aspetti di notevole rilievo sociale e di finanza pubblica.
Il provvedimento espropriativo costituisce la forma più incisiva di esplicazione del potere ablatorio, divenuto strumento insostituibile per realizzare opere pubbliche e attuare una equilibrata e corretta pianificazione urbanistica e industriale.
Infatti: «L’espropriazione consiste nel trasferimento coattivo, per ragioni di pubblico interesse, della proprietà o di altro diritto reale su un bene privato a favore della pubblica amministrazione, con la conseguente conversione del diritto reale dell’espropriato in un diritto di credito ad una somma di denaro a titolo d’indennità».
L’istituto in parola può essere utilizzato in realtà anche per interventi diversi dalle opere pubbliche, come nel caso di acquisizione, a beneficio della collettività, di immobili per i quali non è prevista una concreta trasformazione o alterazione, oppure nel caso di esproprio di aree a favore dei privati per interventi produttivi.
La posizione dell’espropriante è assimilabile a quella di un acquirente a titolo originario. Ciò comporta che l’espropriante acquista il bene libero da ogni peso (servitù, ipoteca, enfiteusi, onere reale) gravante sul bene e che gli eventuali diritti di terzi sul bene si risolvono nell’indennità.
In sostanza il diritto alla proprietà privata, che è originariamente perfetto, viene a tramutarsi -in virtù di un pubblico interesse- in un diritto affievolito. È pacifico che, trattandosi di limitazioni di diritti individuali, in conformità dei principi vigenti nel nostro ordinamento costituzionale, sia richiesta una legge, in quanto l’autorità pubblica non potrebbe procedere all’espropriazione se a ciò non fosse autorizzata dal legislatore. Il diritto di proprietà pertanto è riconosciuto come diritto di disporre e godere delle cose che ne sono oggetto da parte di un singolo individuo, sino a che non si verifichi contrasto con un interesse pubblico. In questo caso esso degrada ad interesse legittimo, essendo riconosciuto dall’ordinamento giuridico non tanto e non solo per lo sviluppo e il benessere del singolo, ma essenzialmente per lo sviluppo e il benessere della collettività.
Le regole per procedere ad una espropriazione legittima sono attualmente inserite nel testo unico espropri (d.p.r. 327/2001-dlgs 2002 n. 302 e succ. modifiche ed integrazioni) e nella legislazione regionale. I vari titolari dei beni oggetto di esproprio hanno diritto, come detto, ad indennità. In particolare, il testo unico espropri disciplina all'art. 36 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio per la realizzazione di opere private che non consistano in abitazioni dell'edilizia residenziale pubblica; all'art. 37 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile; all'art. 38 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area legittimamente edificata; all'art. 40 la determinazione dell'indennità di aree agricole. Sono previste inoltre, in particolari ipotesi, maggiorazioni ed indennità aggiuntive.
Quando, invece, le regole sopra menzionate non sono rispettate, si vengono a perpetrare espropriazioni illegittime. In questi casi il legislatore ha introdotto una complessa normativa che, sostanzialmente, consente l'emanazione di un provvedimento amministrativo di acquisizione del bene per sanare la commessa illegittimità. Infatti, qualora l'opera sia stata realizzata in assenza di un valido decreto di esproprio, l'art. 43 del testo unico espropri attribuisce all'amministrazione il potere di acquisire l'area al proprio patrimonio indisponibile e all'espropriato il diritto al risarcimento del danno, salvo il sindacato in sede giurisdizionale del provvedimento di acquisizione ed, in casi eccezionali e residuali, la restituzione dei beni ai proprietari espropriati. L'art. 43 è dunque applicabile quando mancano fin dall'origine i provvedimenti ablatori legittimi o gli stessi risultano comunque viziati, perciò annullabili davanti al giudice amministrativo.
Nell'ambito del parere del Consiglio di Stato n. 4 del 2001 (che ha redatto lo schema del testo unico espropri) vengono evidenziate le ragioni che hanno portato alla nascita dell'art. 43 testo unico espropri. In particolare viene affermato che l’articolo 43 mira ad eliminare la figura, sorta nella prassi giurisprudenziale, dell'occupazione appropriativa o espropriazione sostanziale (c.d. accessione invertita), nonché quella della occupazione usurpativa, perché l’ordinamento deve adeguarsi ai principi costituzionali ed a quelli generali del diritto internazionale sulla tutela della proprietà. Vi è la necessità di adeguarsi ai principi della Corte europea dei diritti dell’uomo, che con la sentenza della Sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96, ha affermato che l’istituto pretorio affermatosi nell’ordinamento italiano è contrario con l’articolo 1 del prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In concreto l’articolo 43 attribuisce all’Amministrazione il potere di emanare un atto di acquisizione dell’area al suo patrimonio indisponibile (con la peculiarità che non viene meno il diritto al risarcimento del danno) in base ad una valutazione discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale.L'art. 43 verrebbe dunque a superare definitivamente, secondo il Consiglio di Stato, l'istituto delineato dall'ormai storica sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite n. 1464 del 1983: “Nelle ipotesi in cui la Pubblica amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un'opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali l'occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell'opera pubblica, comporta l'estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all'ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indicati, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva in quel momento, con la rivalutazione per l'eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione, con l'ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità, intervenuto successivamente a tale momento, deve considerarsi del tutto privo di rilevanza, sia ai fini dell'assetto proprietario, sia ai fini della responsabilità da illecito”.
In dettaglio.
L'art. 43, rubricato “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, prevede che, valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, possa disporre che esso sia acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. In particolare l'atto di acquisizione:a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui è sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che ha dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;g) è trasmesso all'ufficio competente per l'aggiornamento degli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità (istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 t.u. espr.).Qualora sia impugnato il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera o il decreto di esproprio, ovvero sia esercitata un'azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso in cui riconosca fondato il ricorso o la domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia pronunciato la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari a cura e spese della medesima autorità.Viene precisato che le disposizioni menzionate si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.L'art. 43 comma 6 t.u. espr. prevede espressamente che, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, il risarcimento del danno deve essere determinato:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;b) col computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.
Il d.lgs. n. 302/2002 ha inserito il comma 6 bis nell'art. 43 t.u. espr., prevedendo che, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166, l'autorità espropriante possa procedere disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia.
Avv. Giuseppe Spanò
Retelegale Parma
Il provvedimento espropriativo costituisce la forma più incisiva di esplicazione del potere ablatorio, divenuto strumento insostituibile per realizzare opere pubbliche e attuare una equilibrata e corretta pianificazione urbanistica e industriale.
Infatti: «L’espropriazione consiste nel trasferimento coattivo, per ragioni di pubblico interesse, della proprietà o di altro diritto reale su un bene privato a favore della pubblica amministrazione, con la conseguente conversione del diritto reale dell’espropriato in un diritto di credito ad una somma di denaro a titolo d’indennità».
L’istituto in parola può essere utilizzato in realtà anche per interventi diversi dalle opere pubbliche, come nel caso di acquisizione, a beneficio della collettività, di immobili per i quali non è prevista una concreta trasformazione o alterazione, oppure nel caso di esproprio di aree a favore dei privati per interventi produttivi.
La posizione dell’espropriante è assimilabile a quella di un acquirente a titolo originario. Ciò comporta che l’espropriante acquista il bene libero da ogni peso (servitù, ipoteca, enfiteusi, onere reale) gravante sul bene e che gli eventuali diritti di terzi sul bene si risolvono nell’indennità.
In sostanza il diritto alla proprietà privata, che è originariamente perfetto, viene a tramutarsi -in virtù di un pubblico interesse- in un diritto affievolito. È pacifico che, trattandosi di limitazioni di diritti individuali, in conformità dei principi vigenti nel nostro ordinamento costituzionale, sia richiesta una legge, in quanto l’autorità pubblica non potrebbe procedere all’espropriazione se a ciò non fosse autorizzata dal legislatore. Il diritto di proprietà pertanto è riconosciuto come diritto di disporre e godere delle cose che ne sono oggetto da parte di un singolo individuo, sino a che non si verifichi contrasto con un interesse pubblico. In questo caso esso degrada ad interesse legittimo, essendo riconosciuto dall’ordinamento giuridico non tanto e non solo per lo sviluppo e il benessere del singolo, ma essenzialmente per lo sviluppo e il benessere della collettività.
Le regole per procedere ad una espropriazione legittima sono attualmente inserite nel testo unico espropri (d.p.r. 327/2001-dlgs 2002 n. 302 e succ. modifiche ed integrazioni) e nella legislazione regionale. I vari titolari dei beni oggetto di esproprio hanno diritto, come detto, ad indennità. In particolare, il testo unico espropri disciplina all'art. 36 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio per la realizzazione di opere private che non consistano in abitazioni dell'edilizia residenziale pubblica; all'art. 37 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile; all'art. 38 la determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area legittimamente edificata; all'art. 40 la determinazione dell'indennità di aree agricole. Sono previste inoltre, in particolari ipotesi, maggiorazioni ed indennità aggiuntive.
Quando, invece, le regole sopra menzionate non sono rispettate, si vengono a perpetrare espropriazioni illegittime. In questi casi il legislatore ha introdotto una complessa normativa che, sostanzialmente, consente l'emanazione di un provvedimento amministrativo di acquisizione del bene per sanare la commessa illegittimità. Infatti, qualora l'opera sia stata realizzata in assenza di un valido decreto di esproprio, l'art. 43 del testo unico espropri attribuisce all'amministrazione il potere di acquisire l'area al proprio patrimonio indisponibile e all'espropriato il diritto al risarcimento del danno, salvo il sindacato in sede giurisdizionale del provvedimento di acquisizione ed, in casi eccezionali e residuali, la restituzione dei beni ai proprietari espropriati. L'art. 43 è dunque applicabile quando mancano fin dall'origine i provvedimenti ablatori legittimi o gli stessi risultano comunque viziati, perciò annullabili davanti al giudice amministrativo.
Nell'ambito del parere del Consiglio di Stato n. 4 del 2001 (che ha redatto lo schema del testo unico espropri) vengono evidenziate le ragioni che hanno portato alla nascita dell'art. 43 testo unico espropri. In particolare viene affermato che l’articolo 43 mira ad eliminare la figura, sorta nella prassi giurisprudenziale, dell'occupazione appropriativa o espropriazione sostanziale (c.d. accessione invertita), nonché quella della occupazione usurpativa, perché l’ordinamento deve adeguarsi ai principi costituzionali ed a quelli generali del diritto internazionale sulla tutela della proprietà. Vi è la necessità di adeguarsi ai principi della Corte europea dei diritti dell’uomo, che con la sentenza della Sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96, ha affermato che l’istituto pretorio affermatosi nell’ordinamento italiano è contrario con l’articolo 1 del prot. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In concreto l’articolo 43 attribuisce all’Amministrazione il potere di emanare un atto di acquisizione dell’area al suo patrimonio indisponibile (con la peculiarità che non viene meno il diritto al risarcimento del danno) in base ad una valutazione discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale.L'art. 43 verrebbe dunque a superare definitivamente, secondo il Consiglio di Stato, l'istituto delineato dall'ormai storica sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite n. 1464 del 1983: “Nelle ipotesi in cui la Pubblica amministrazione (o un suo concessionario) occupi un fondo di proprietà privata per la costruzione di un'opera pubblica e tale occupazione sia illegittima, per totale mancanza di provvedimento autorizzativo o per decorso dei termini in relazione ai quali l'occupazione si configura legittima, la radicale trasformazione del fondo, con irreversibile sua destinazione al fine della costruzione dell'opera pubblica, comporta l'estinzione del diritto di proprietà del privato e la contestuale acquisizione a titolo originario della proprietà in capo all'ente costruttore, ed inoltre costituisce un fatto illecito (istantaneo, sia pure con effetti permanenti) che abilita il privato a chiedere nel termine prescrizionale di cinque anni dal momento della trasformazione del fondo nei sensi indicati, la condanna dell'ente medesimo a risarcire il danno derivante dalla perdita del diritto di proprietà, mediante il pagamento di una somma pari al valore che il fondo aveva in quel momento, con la rivalutazione per l'eventuale diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno della liquidazione, con l'ulteriore conseguenza che un provvedimento di espropriazione del fondo per pubblica utilità, intervenuto successivamente a tale momento, deve considerarsi del tutto privo di rilevanza, sia ai fini dell'assetto proprietario, sia ai fini della responsabilità da illecito”.
In dettaglio.
L'art. 43, rubricato “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, prevede che, valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, possa disporre che esso sia acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni. In particolare l'atto di acquisizione:a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui è sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che ha dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;g) è trasmesso all'ufficio competente per l'aggiornamento degli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità (istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2 t.u. espr.).Qualora sia impugnato il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera o il decreto di esproprio, ovvero sia esercitata un'azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso in cui riconosca fondato il ricorso o la domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia pronunciato la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari a cura e spese della medesima autorità.Viene precisato che le disposizioni menzionate si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.L'art. 43 comma 6 t.u. espr. prevede espressamente che, salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, il risarcimento del danno deve essere determinato:
a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;b) col computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.
Il d.lgs. n. 302/2002 ha inserito il comma 6 bis nell'art. 43 t.u. espr., prevedendo che, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166, l'autorità espropriante possa procedere disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia.
Avv. Giuseppe Spanò
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Le opinioni espresse da ciascun associato sia sul blog dell'associazione (retelegale.blogspot) sia sui blog delle
varie sedi periferiche (per es. retelegalelivorno.blogspot) non sono riferibili alla generalità degli associati né all'associazione e
non rappresenta l'opinione della generalità degli associati né dell'associazione. Le pubblicazioni, gli interventi, gli scritti e le opinioni pubblicate da ciascun associato sono e restano di competenze dell'associato che le pubblica il quale si assume ogni responsabilità per quanto pubblicato, per il contenuto dei propri scritti ed interventi e per le opinioni espresse. I blog dell'associazione ed i blog di ciascuna sede sono aggiornati senza alcuna periodicità da parte
degli associati, ogni pubblicazione, scritto ed intervento rappresenta l'opinione ed il pensiero unicamente dell'associato che la pubblica e l'insieme delle
pubblicazioni non costituisce testata giornalistica
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